Einstein, genio scanzonato
Articolo tratto da “La Provincia pavese”, di Valentina Gregori
PAVIA. Un sedicenne con poca voglia di studiare che andava a vendemmiare in Oltrepo e a sguazzare nel Ticino: questo era Albert Einstein (1879-1955) nel 1895, appena dieci anni prima di scrivere gli articoli (sull’effetto fotoelettrico, il moto browniano e la relatività speciale) che avrebbero rivoluzionato la fisica e lo avrebbero portato al Nobel. Per quanto breve, il soggiorno a Pavia fu una tappa importante nel percorso che trasformò un ragazzo dal carattere difficile in un genio.
La famiglia Einstein, di ebrei tedeschi, viveva a Monaco di Baviera. Il padre di Albert, Hermann, aveva aperto un’officina elettrochimica con suo fratello Jakob, ingegnere elettrico. La loro compagnia aveva illuminato l’Oktoberfest del 1885 e realizzato le reti di illuminazione di alcune cittadine, ma poi era fallita, nel 1893. Nel 1894 un ingegnere italiano, Lorenzo Garrone, convinse gli Einstein che il Nord Italia avrebbe potuto offrire loro delle buone opportunità. Hermann, la moglie Pauline e la figlia Maja, tredicenne, partirono per Milano, dove si stabilirono in centro, in via Bigli 21, nel maestoso palazzo in cui la contessa Maffei aveva tenuto qualche decennio prima un celebre salotto.
Albert rimase a Monaco da un parente: gli mancavano tre anni per conseguire la maturità al Luitpold Gymnasium, una scuola che detestava perché troppo simile a una caserma, dove gli insegnanti lo giudicavano impudente e i compagni antipatico. Resistette pochi mesi, poi si fece rilasciare dal medico un certificato attestante che per un esaurimento nervoso doveva raggiungere la famiglia in Italia. Contemporaneamente la direzione della scuola lo espulse perché “di grave disturbo” per gli altri allievi. Il 29 dicembre Albert Einstein partì alla volta di Milano, deciso a farla finita con la Germania.
Chiese di rinunciare alla cittadinanza tedesca e promise al padre, che voleva vederlo laureato, che si sarebbe preparato da solo per affrontare, in autunno, l’esame di ammissione al Politecnico di Zurigo. Quello in Italia fu per Einstein un periodo eccezionalmente felice. Amava i paesaggi, il clima, il cibo, la musica e la gente, visitava i musei alla ricerca di Michelangelo e la cosa peggiore che poteva dire delle città italiane era che le trovava un po’ più sporche di Monaco. Secondo sua sorella Maja, non era mai stato così allegro.
Molti anni dopo, Albert scrisse: «Rimasi sorpreso, una volta al di là delle Alpi, nel sentire gli italiani, intendo la gente comune, impiegare termini ed espressioni che denotavano un livello mentale e una ricchezza di contenuto culturale assai superiori a quelli del tedesco comune. Gli abitanti dell’Italia settentrionale sono il popolo più incivilito che io abbia mai conosciuto». Nel marzo del 1895 la sua famiglia si trasferì a Pavia. Come abitazione, gli Einstein scelsero un appartamento di Casa Cornazzani, la villa con portici e affreschi quattrocenteschi in cui nel 1808 era vissuto Ugo Foscolo, al numero 11 di quella che oggi è appunto via Foscolo. Hermann e Jakob avevano ottenuto l’incarico di realizzare una centrale elettrica per la città. La loro fabbrica impiegava 80 operai e si trovava lungo il Naviglio, dove poteva sfruttare il salto d’acqua di una chiusa per ricavare l’energia necessaria. L’edificio, imponente, si trova all’incrocio tra viale Venezia e viale Partigiani ed è stato ristrutturato di recente per ricavarne uffici e abitazioni.
Mentre suo cugino studiava al liceo di Pavia, Albert non frequentava scuole e aiutava di tanto in tanto il padre nel suo lavoro. Quando faceva caldo, andava a nuotare al Ticino. Fu lì che conobbe una ragazza di Casteggio, Ernestina Marangoni, che negli anni successivi avrebbe tenuto un salotto letterario frequentato da Montale. Lei, più vecchia di lui di tre anni, lo vide per la prima volta che faceva “il morto” nel fiume. Una volta uscito dall’acqua, le fu presentato da un professore di Königsberg. Fu l’inizio di un’amicizia che durò tutta la vita. Anzi, come rivela Fabrizio Bernini, autore del volume “Che bel ricordo… Casteggio”, che conobbe una Marangoni novantenne: «Dopo la morte di Ernestina, ho comprato i sei volumi del suo carteggio amoroso con il marito: in una lettera, lei conferma a lui che con Einstein ci fu una simpatia, una relazione giovanile», Albert cominciò a frequentare villa Marangoni, a Casteggio.
«A volte si riunivano in salotto a suonare: Einstein il violino, Ernestina e il notaio Giulietti il pianoforte – racconta Bernini -. Altre volte facevano lunghe passeggiate. Andavano da Casteggio alla Ca’ Nova Ghiringhelli, fuori Voghera: a quel tempo c’era una strada bellissima fiancheggiata da doppi filari di pioppi. In settembre, poi, Einstein veniva per la vendemmia, al Fontanone». Spesso Albert partiva per un’escursione con lo zaino in spalla. Una volta, con un amico, andò a piedi a Genova. Da Casteggio prese il tram fino a Voghera, poi attraversò Varzi, il Penice, Bobbio, Ottone, Torriglia, fino a Genova: ci mise diversi giorni e ritornò in treno. Probabilmente durante quell’estate spensierata Einstein scrisse il suo primo saggio scientifico, cinque pagine intitolate “Intorno allo stato delle ricerche sull’etere nei campi magnetici”, che spedì allo zio Cäsar, a Stoccarda. Era un lavoro notevole per un ragazzo di 16 anni e un primo segnale di quale fosse l’argomento che occupava la sua mente e che si sarebbe poi sviluppato nella teoria della relatività speciale.
In ottobre Einstein partì per la Svizzera, dove studiò un anno ad Aarau e poi a Zurigo. Ma continuò a tornare in Italia alla fine di ogni semestre. La compagnia di famiglia, intanto, dovette affrontare una nuova crisi, nel 1896 perse l’incarico di Pavia e fallì. Jakob passò a lavorare per un’altra ditta, mentre Hermann mise in piedi una fabbrica di dinamo a Milano, dove gli Einstein si trasferirono e dove Albert ritornò una volta terminati gli studi, nel 1900. Con l’assunzione all’ufficio brevetti di Berna nel 1902, si concluse il suo magico periodo italiano. Due mesi dopo, suo padre morì di infarto a Milano e lì fu sepolto: oggi si trova al cimitero Monumentale, nel Civico Mausoleo Palanti, riservato ai “cittadini illustri”. Nel 1905, Albert pubblicò gli articoli che gli diedero la fama e che oggi, a cento anni di distanza, vengono celebrati dall’“Anno internazionale della fisica”.
Ma non dimenticò mai l’Italia, Pavia e l’Oltrepo. Intrecciò una corrispondenza che arrivò fino agli anni Cinquanta con Ernestina Pelizza Marangoni: alcune lettere da Princeton sono oggi esposte al Museo della storia dell’università. «Che bel ricordo Casteggio… che bel ricordo la cittadina vista con lo sguardo ammirativo della gioventù», le scrisse. Nelle sue parole, un affetto speciale. A sottolineare questo legame con Pavia, a un secolo dai cinque articoli e a cinquant’anni dalla morte di Einstein, l’Università organizza due importanti eventi celebrativi. Dal 29 marzo al 2 aprile, il convegno internazionale “Spacetime in action: 100 years of relativity”, con interventi di studiosi da tutto il mondo. Da ottobre a dicembre, la mostra “Einstein ingegnere dell’universo”, al Museo della Tecnica elettrica che sta per essere inaugurato al Cravino.
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