IL RILIEVO DI ASSURDITÀ È UN CRITERIO INTERPRETATIVO DA UTILIZZARE CON CAUTELA
Sia per le norme di legge che per i contratti (Cassazione Sezione Lavoro n. 6415 dell’8 maggio 2001, Pres. Santojanni, Rel. Spanò).
Nell’attività interpretativa, il criterio che conduce ad escludere una determinata soluzione perché assurda (argumentum ad absurdum), mutuato da discipline scientifiche e applicabile nei casi in cui ci si trova di fronte ad un’alternativa secca tale da escludere una soluzione intermedia ed articolata, va utilizzato con estrema cautela dal giudice il quale deve piuttosto ricordare a se stesso che inducere difficultatem non est adducere argumentum.
Particolare cautela si impone nell’uso di tale argomento per l’interpretazione dei testi normativi poiché la reductio ad absurdum, fondata sulla presunta ragionevolezza del buon legislatore, si presenta come un’argomentazione fragile, equivoca, inidonea a correggere la lettera e la ratio della legge poiché l’assurdo è “nozione storicamente relativa e soggettivamente mutevole che non acquista oggettività sociale” e non può quindi essere assunto come canone logico atto a giustificare la soluzione opposta, senza tener conto delle varie articolate soluzioni intermedie giustificate dalla complessa disciplina della materia.
Il canone in discorso può peraltro essere meglio invocato nell’interpretazione degli atti di autonomia privata, risolvendosi in sostanza in un richiamo ai principi dettati agli articoli 1366 cod. civ. (interpretare il contratto secondo buona fede), 1369 cod. civ. (attribuire ad espressioni che possono avere più sensi quella più conveniente alla natura e all’oggetto del contratto), 1371 cod. civ. (realizzare l’equo contemperamento degli interessi delle parti nei contratti a titolo oneroso).
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