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La maggiore età non è la data di scadenza per il mantenimento dei figli

Negli ultimi anni, complici la dura crisi economica e l’alto tasso di disoccupazione giovanile, non sono stati usati mezzi termini per definire i giovani. Su di loro è stato detto di tutto: che sono dei “bamboccioni”, che sono “choosy” (cioè schizzinosi) e perfino che sono dei “fannulloni” e “sfaticati”. Ma per un giovane asseritamente sfaticato, ce ne sono tantissimi altri che provano a cercare la propria strada. Non sempre però l’impegno e la fatica vengono ripagati a dovere, così in molti si ritrovano a svolgere impieghi saltuari che rendono impossibile, nella pratica, il raggiungimento di un’indipendenza economica dai genitori.

Immaginiamo il caso di un giovane neolaureato che ha sempre svolto lavori part-time, per evitare di pesare eccessivamente sulle spalle dei suoi genitori, divorziati. All’indomani della laurea, il ragazzo inizia immediatamente a cercare lavoro, ma le uniche offerte che riceve sono proposte di stage, senza possibilità di assunzione. Pur di fare esperienza, il ragazzo decide di accettare. La retribuzione che percepisce, però, è appena sufficiente a coprire le spese e l’orario full-time non gli consente di arrotondare svolgendo una seconda attività. Appare evidente che il giovane necessiti di aiuto ed, in questi casi, i genitori dovranno continuare a dargli una mano per integrare.

L’assegno periodico al figlio maggiorenne

Il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne cessa solo nel momento in cui questi abbia raggiunto l’indipendenza economica. Il contributo al mantenimento può essere versato al genitore con cui il figlio vive stabilmente oppure direttamente al figlio stesso, specialmente se questi, nel frattempo, non vive più all’interno della stessa casa del genitore collocatario, avendo preso altro domicilio, ad esempio, per ragioni di studio.

L’obbligo di contribuzione al mantenimento potrebbe essere evitato dal genitore nel caso in cui il figlio sia direttamente responsabile della sua posizione di dipendenza economica. Se il figlio potesse rendersi autonomo in presenza di occasioni lavorative e decidesse di non coglierle per mancanza di volontà, potrebbe perdere il suo diritto al mantenimento. Il figlio dovrà quindi darsi da fare e attivarsi per cercare un lavoro, consultando ad esempio gli annunci su giornali e sui siti internet specializzati, dovrà recarsi presso le società di lavoro interinale e al Centro dell’Impiego, dovrà inviare il c.v. e sostenere i colloqui. Anche qualora volesse svolgere un lavoro indipendente o una professione autonoma o volesse diventare un imprenditore dovrà attivarsi fattivamente. Un atteggiamento passivo e parassitario alle spalle dei genitori non potrà essere premiato. Si ricordi però che, se è previsto un assegno di mantenimento, il genitore obbligato non potrà decidere autonomamente di non versarlo più, ma dovrà prima rivolgersi al Tribunale per chiedere, a seconda dei casi: o la cessazione totale o il pagamento di un importo più basso.

Il caso del giovane neolaureato che abbiamo in precedenza visto, però, è ben diverso. Il ragazzo, per motivazioni a lui estranee, non è ancora riuscito a ottenere quell’autonomia economica che gli consentirebbe di non pesare più sulle spalle dei genitori e, quindi, avrà ancora diritto. Il giovane in caso di non collaborazione da parte dei genitori potrebbe perfino iniziare una causa contro gli stessi affinché questi gli corrispondano, finché sarà necessario, un contributo di mantenimento.

Né il raggiungimento della maggiore età né il conseguimento del titolo di laurea, quindi, rappresentano eventi che fanno decadere l’obbligo del genitore di mantenere il figlio. Lo stesso vale, ma in certi casi assai limitati, per le nozze: la costituzione di una nuova famiglia da parte del figlio maggiorenne infatti non coincide in modo assoluto con il raggiungimento di quell’indipendenza economica che fa cessare il suo diritto a essere mantenuto, quantomeno temporaneamente.

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