La storia svizzera – Parte 9
La Svizzera dal 1848 al 1914
La nascita dello Stato federale
Già durante l’estate del 1847, prima dello scioglimento del Sonderbund, la Dieta nomina una commissione per la riforma delle istituzioni. Interrotti a causa della guerra civile, i lavori riprendono nel febbraio 1848 e si concludono con una serie di proposte sulle quali la Dieta si pronuncia. Il progetto finale viene sottoposto ai cantoni: 15 cantoni e un semicantone si dichiarano favorevoli. I contrari sono: Uri, Svitto, Untervaldo, Zugo, Vallese, Appenzello Interno e Ticino. Il 12 settembre 1848 la Dieta prende atto della decisione popolare: un nuovo stato federale o federativo* è nato.
La Costituzione federale del 12 settembre 1848 conta 114 articoli; essa è un compromesso tra le tendenze unitarie e il federalismo instaurato col Patto del 1815. La Svizzera cessa di essere una confederazione di stati, anche se ne conserva la denominazione per ragioni pratiche.
La costituzione delimita la sfera d’intervento della Confederazione e dei cantoni. Per la prima volta la Svizzera dispone di un potere centrale efficace con maggiori competenze in materia di politica estera, militare, doganale, postale e monetaria. I cantoni conservano le loro prerogative negli altri settori, ma le loro costituzioni, garantite dal potere federale, devono essere repubblicane e democratiche, conformi cioè ai diritti e alle libertà proclamate dalla costituzione federale.
Al posto della Dieta e del Cantone direttore la Svizzera ha ora un parlamento e un governo moderni. L’Assemblea federale è composta da due camere: il Consiglio nazionale, eletto a suffragio universale in proporzione alla popolazione dei cantoni (111 deputati nel 1848; numero fisso di 200 dal 1962) e il Consiglio degli Stati con 2 rappresentanti per cantone. Per entrare in vigore le leggi devono essere votate e adottate separatamente dalle due camere.
Il governo, composto di 7 membri (Consiglio federale), è collegiale: la responsabilità delle decisioni è assunta collettivamente, il presidente della Confederazione non ha maggiori poteri dei suoi colleghi.
Per evitare il ritorno ad una situazione come quella che aveva portato alla guerra civile del 1847, la Costituzione del 1848 vieta esplicitamente la conclusione di alleanze politiche tra i cantoni. Essa prevede inoltre la possibilità di una revisione costituzionale totale; questa può essere richiesta pure dal popolo, attraverso un’iniziativa sottoscritta da 50’000 cittadini.
(*) Lo stato federativo o federale è uno Stato composto di Stati. Spesso è il risultato di un’associazione: alcuni Stati si sono uniti senza fondersi. Potrebbe essere pure, ma è più raro e più artificiale, l’effetto di una dissociazione: uno Stato si è suddiviso senza rompersi. Da noi, è successo nel modo abituale: quando i cantoni si sono riuniti in confederazione, nel 1848, esistevano già da tempo. Hanno allora rafforzato i loro legami, hanno creato uno Stato superiore, senza rinunciare al loro carattere di Stato.
Un’istituzione la si capisce solo quando la si paragona ad un’altra, dello stesso genere, ma di un’altra specie. Teoricamente si possono stabilire dei paralleli: innanzitutto, tra lo Stato federativo e la Confederazione di Stati, i cui membri sono uniti da legami molto meno stretti; poi, tra lo Stato federativo e lo Stato unitario, le cui parti componenti sono, se ve ne sono, strettamente integrate nell’insieme; in altre parole il cantone svizzero d’oggi e il cantone svizzero dell’Antico Regime, da un lato, tra il cantone svizzero d’oggi e il dipartimento francese, dall’altro. (J. F. Aubert, Istituzioni politiche svizzere presentate e analizzate sulla base di alcuni casi controversi, Bellinzona 1981)
La vita politica federale dopo il 1848
Il 6 novembre 1848 si riunisce a Berna, nuova capitale, la prima Assemblea federale. Il Consiglio federale, eletto il 16 novembre, si compone di sette liberali-radicali. Nel parlamento, la frazione liberale-radicale detiene una maggioranza schiacciante di 133 seggi, mentre l’opposizione conservatrice e cattolica ne conta solo 22.
Nei cantoni compaiono i primi veri partiti politici organizzati. A Berna i deputati si riuniscono a seconda della loro tendenza politica. Il movimento liberale-radicale ha forgiato la Svizzera moderna rafforzando il potere centrale e l’unità del paese. I deputati di questa corrente politica dominano il parlamento elvetico fin dopo la prima guerra mondiale. Il partito radicale si organizza lentamente sul piano nazionale, dapprima come gruppo parlamentare* a Berna, per poi diventare ufficialmente, nel 1894, il partito radicale-democratico svizzero.
(*) Alle Camere federali sono i membri dello stesso partito e della stessa tendenza che si uniscono in gruppo o frazione parlamentare
I cantoni che avevano fatto parte del Sonderbund accettano lealmente le nuove istituzioni ed eleggono i loro rappresentanti a Berna. I cattolici, vinti, affrontano il nuovo corso della politica federale con spirito di resistenza. Il loro movimento si organizza nei cantoni e alle camere federali, dove, dal 1882, esiste una frazione cattolico-conservatrice. Nel 1912 si costituisce a livello nazionale il partito popolare conservatore.
Dietro le due grandi tendenze, quella liberale-radicale e quella cattolico-conservatrice si scontrano due diverse concezioni dello stato: i primi vogliono uno stato laico (indipendente nei confronti dell’autorità della Chiesa) e forte; i secondi propugnano una stretta collaborazione tra la chiesa e l’autorità civile e difendono una maggiore autonomia cantonale. L’opposizione tra la chiesa cattolica e alcuni governi cantonali si rianima in seguito alla condanna del liberalismo e della laicità dello stato da parte del papa, assumendo toni particolarmente aspri nella diocesi di Basilea e a Ginevra.
Una volta placati gli animi, i cattolico-conservatori acconsentono a collaborare con la maggioranza. Nel 1891 il cattolico lucernese Joseph Zemp è eletto consigliere federale; la sua elezione diventa simbolo dell’integrazione dei cattolici svizzeri nello stato federale.
L’estensione del potere federale e dei diritti popolari
Dopo il 1848 le autorità federali sono confrontate con numerosi problemi: la revisione del sistema doganale, l’unificazione dei pesi e delle misure, l’introduzione di una moneta federale, la costruzione delle ferrovie. Nei cantoni si assiste ad un’evoluzione politica in senso democratico con l’estensione dei diritti popolari. Durante la guerra franco-prussiana del 1870 vengono alla luce numerose lacune nell’organizzazione della Confederazione. Tutti questi problemi spingono i fautori di una revisione della costituzione federale ad adattarla all’evoluzione economica e politica.
Un progetto di revisione, benché moderato, fallisce nel 1872 per l’opposizione dei federalisti romandi, dei conservatori-cattolici e dei radicali di sinistra. Tuttavia, grazie ad abili concessioni, i partigiani della revisione ottengono l’appoggio dei radicali romandi. Il 19 aprile 1874 il popolo accetta la revisione con 340’000 voti favorevoli contro 198’000 contrari. Solo i cantoni del disciolto Sonderbund, di Appenzello Interno e del Ticino si oppongono. La nuova Costituzione, promulgata il 29 maggio 1874, ha retto sino alla promulgazione di quella attuale del 18 aprile 1999.
Analoga, la Costituzione del 29 maggio 1874, a grandi linee a quella del 1848, rafforza le competenze del potere centrale in vari settori, particolarmente in quello militare e giuridico. Con l’introduzione del diritto di referendum legislativo* nel 1874 e del diritto di iniziativa costituzionale* nel 1891, la Svizzera diventa una democrazia semidiretta: i cittadini sono chiamati spesso a pronunciarsi su problemi di natura diversa.
(*)
Introduzione del referendum legislativo facoltativo. Articolo 89 della Costituzione federale del 29 maggio 1874:
“Per le leggi e i decreti federali è necessario l’accordo dei due Consigli. Le leggi e i decreti federali di carattere obbligatorio generale devono essere sottoposti al popolo per l’accettazione o il rifiuto, quando ciò sia domandato da 30’000 cittadini svizzeri, aventi diritto di voto, oppure da otto cantoni”
Revisione parziale della Costituzione federale per mezzo dell’iniziativa costituzionale. Articolo 121 introdotto nel 1891:
“La revisione parziale può avere luogo, sia per la via dell’iniziativa popolare, sia nelle forme statuite per la legislazione federale. L’iniziativa popolare consiste nella domanda avanzata da 50’000 cittadini svizzeri aventi diritto di voto richiedenti o l’adottamento o l’abrogazione o la modifica di dati articoli della Costituzione federale.
La centralizzazione del potere si accentua nell’ultimo quarto del XIX secolo e nel primo decennio del XX. Vengono estese le competenze giuridiche della Confederazione con l’unificazione del diritto civile e penale. Berna legifera pure in campo economico (riscatto delle ferrovie dal 1898 e creazione delle FFS, fondazione della Banca nazionale nel 1906). Le autorità cominciano ad occuparsi di politica sociale (legge sul lavoro nelle fabbriche e legge sull’assicurazione malattia e infortuni).
La Svizzera si trasforma
Tra il 1850 e il 1910 la popolazione passa da 2,4 a 3,7 milioni di abitanti. Questa crescita demografica interessa in modo particolare le città: il numero dei comuni con più di 10’000 abitanti è quadruplicato in questo periodo. La libertà di domicilio, fissata nella Costituzione federale del 1848, favorisce la mobilità interna. L’afflusso della popolazione verso le città modifica la ripartizione della manodopera tra i vari settori d’attività. Il numero delle persone attive nell’agricoltura diminuisce di un quarto tra il 1850 e il 1910, mentre quello del settore industriale si moltiplica per 2,3.
La proibizione del servizio mercenario, decisa nel 1848, blocca definitivamente l’emigrazione militare. L’emigrazione civile la sostituisce totalmente. Le partenze sono assai numerose nell’ultimo ventennio: più di 120’000 emigranti svizzeri dal 1880 al 1893, l’80-90 % dei quali verso l’America del Nord. Poi l’esodo diminuisce mentre l’immigrazione aumenta sensibilmente alla fine del secolo. Gli stranieri, soprattutto d’origine tedesca, che nel 1850 rappresentano il 3% della popolazione residente, nel 1914 raggiungono il 15%. La Svizzera da paese d’emigrazione diventa terra che accoglie centinaia di migliaia di lavoratori stranieri. Queste trasformazioni spettacolari testimoniano i profondi cambiamenti avvenuti nel nostro paese alla fine del XIX secolo. Le condizioni di vita migliorano. A poco a poco la miseria e la penuria alimentare che minacciavano frequentemente i ceti più poveri si attenuano. Il potere d’acquisto dei salari aumenta. Nel 1850 per acquistare mezzo chilo di pane, un muratore doveva lavorare 48 minuti, nel 1913 solo 12 minuti.
Si fanno strada nuove concezioni della società e dei compiti dello stato. Si comincia a considerare normale che il potere pubblico sostenga finanziariamente i settori economici in difficoltà. L’aiuto all’agricoltura con sovvenzioni statali inizia alla fine del XIX secolo. Sorgono associazioni economiche per salvaguardare gli interessi dei gruppi sociali. L’unione svizzera del commercio e dell’industria (1870) e l’unione svizzera delle arti e dei mestieri (1879) sono emanazioni padronali. L’Unione svizzera dei contadini (1897) si prefigge di difendere l’agricoltura.
Un nuovo slancio nell’industrializzazione
Le strutture dell’economia si trasformano considerevolmente. In questo periodo il capitalismo trionfa in Europa e nel mondo. La costruzione delle ferrovie contribuisce a questa crescita; iniziata tardivamente, la rete ferroviaria misura 1’148 chilometri nel 1862 e raggiunge i 4’791 nel 1911, divenendo una delle più dense del mondo. Il superamento della catena alpina pone grossi problemi tecnici e finanziari. Il traforo delle grandi gallerie permette l’apertura della linea del San Gottardo nel 1882, del Sempione nel 1906 e del Lötschberg nel 1913.
L’industrializzazione e lo sviluppo dei trasporti necessitano di ingenti capitali che vengono forniti dalle grandi banche. Nel 1856 si apre il Credito Svizzero, che precede la Banca Popolare Svizzera (1880), la Società di Banca Svizzera (1895) e l’Unione di Banche Svizzere (1912). Il bisogno di garantirsi contro i rischi si generalizza e le società assicuratrici conoscono un crescente successo. L’industria tessile rimane la forza trainante dello sviluppo industriale. Verso il 1900 assicura la metà dei posti di lavoro nel settore industriale e delle esportazioni. Nella tessitura del cotone s’impone il telaio meccanico, mentre nel campo della seta e dei pizzi ci si specializza nella produzione di articoli di lusso.
La grande richiesta di macchine tessili e di materiale rotabile dà un forte impulso all’industria metalmeccanica. Alla fine del secolo una nuova attività, l’applicazione industriale dell’elettricità, compie rapidi progressi, così come quella chimica, che fornisce coloranti, prodotti farmaceutici e fertilizzanti. L’orologeria modifica il processo di fabbricazione: l’orologio prodotto in serie, diventa un oggetto di uso comune.
Durante lo stesso periodo anche l’agricoltura subisce nuove trasformazioni. Le superfici arate diminuiscono a causa dell’importazione di cereali meno costosi dall’estero, e così aumentano le superfici occupate da prati. La produzione agricola si specializza nell’allevamento di bovine da latte. Il numero di capi passa da 993’000 del 1866 al 1’443’000 del 1911. La tradizionale produzione di formaggio è affiancata dalla fabbricazione di latte condensato e di cioccolato. Dalla fine del XIX secolo l’agricoltura si meccanizza e il contadino inizia ad utilizzare concimi chimici, aumentando di conseguenza la resa dei terreni.
L’apertura al mondo
Il turismo conosce una prima età dell’oro dalla seconda metà del XIX secolo fino al 1914. Ricchi stranieri raggiungono durante la stagione estiva le località montane (Davos, St. Moritz, Zermatt) e lacuali (Lucerna, Interlaken, Montreux, Locarno, Lugano), utilizzando le ferrovie alpine e i primi alberghi che già hanno acquisito rinomanza internazionale.
L’importanza delle esportazioni, in rapporto al numero degli abitanti pone la Svizzera al primo posto tra le nazioni del mondo. Sprovvisto di materie prime, il nostro paese si specializza nella fabbricazione di prodotti industriali di alta qualità per imporsi sui mercati internazionali.
Per questo l’economia svizzera è particolarmente sensibile alla crisi economica degli anni 1870 – 1890: i mercati stranieri si chiudono alle merci svizzere, di conseguenza numerose imprese creano delle unità di produzione all’estero. Nello stesso tempo la Confederazione si trasforma in sicuro rifugio per i capitali stranieri, diventando una piazza finanziaria. La Svizzera non partecipa invece alle conquiste coloniali in Africa o in Asia.
Benché fortemente legato dal profilo economico al resto del mondo, il nostro paese mantiene una stretta indipendenza politica rispetto alle potenze vicine. Dopo il 1848 lo stato federale conduce una coerente politica estera. Non cede alla Prussia in occasione dei disordini di Neuchâtel del 1856, che inducono il sovrano tedesco a rinunciare ai suoi diritti sull’antico principato. Nel 1860 la Francia annette la Savoia e la Svizzera beneficia della creazione di una zona franca* più vasta attorno a Ginevra.
(*) Si tratta di una zona formata da territori liberi da imposizioni doganali; essa venne delimitata nel 1815-1816 ed estesa nel 1860 attorno a Ginevra. La Francia voleva sopprimerla nel 1919. Nel 1932-1933, dopo lunghi negoziati, si decise il mantenimento delle zone create nel “15-“16, ma con nuove modalità di funzionamento.
Le unificazioni dell’Italia e della Germania obbligano le autorità svizzere a sostenere una politica di neutralità vigilante. Circondata da potenze rivali (Germania, Austria-Ungheria, Italia riunite nella Triplice Alleanza da un lato, la Francia dall’altro), la Confederazione elvetica viene spesso accusata di cedere ora all’una, ora all’altra parte.
La firma della prima Convenzione di Ginevra del 1864 e la fondazione della Croce Rossa contribuiscono ad estendere l’influenza e il prestigio morale della Svizzera. L’ispiratore di questa organizzazione umanitaria , il ginevrino Henri Dunant (1828 – 1910), ottiene il premio Nobel per la pace nel 1901. Numerose organizzazioni internazionali scelgono il territorio svizzero quale sede.
La Svizzera dal 1914 ai nostri giorni
La prova delle due guerre mondiali
Nel 1914 e nel 1939, al momento in cui l’Europa intera entra in guerra, la Svizzera decreta la mobilitazione generale. Come previsto dalla costituzione, l’Assemblea federale elegge un generale: Ulrich Wille il 4 agosto 1914 e Henri Guisan il 30 agosto 1939.
Essa accorda i pieni poteri* al Consiglio federale; questi invia alle potenze straniere una dichiarazione di neutralità sottolineando la volontà della nazione di difendere l’inviolabilità del territorio contro qualsiasi aggressione.
(*) In caso d’urgenza e di situazione grave il Consiglio federale ha la piena facoltà di prendere tutte le misure necessarie. Ciò è avvenuto nel 1914 e nel 1939
Durante la prima guerra mondiale l’opinione pubblica è molto divisa; si può parlare di un “fossato” tra la Svizzera tedesca, che si sente attratta dalla Germania, e la Svizzera romanda, più vicina alla Francia e ai suoi alleati. Tale frattura non si manifesta durante il secondo conflitto mondiale.
Dal 1914 al 1918 il servizio attivo delle truppe consiste essenzialmente nella sorveglianza delle frontiere. Durante la seconde guerra mondiale il pericolo è assai più grave e nel 1940 la situazione si fa drammatica. Dopo la sconfitta francese, il nostro paese si trova di fatto accerchiato. Il disfattismo si fa strada anche in Svizzera. Mentre si alzano voci che chiedono l’adesione al nuovo ordine europeo, l’esercito, guidato dal generale Guisan, interpreta la volontà di resistenza. La nuova concezione strategica del “ridotto nazionale” (ultima difesa nella regione alpina in caso di invasione) testimonia questa volontà di indipendenza.
Il primo conflitto mondiale trova la Svizzera mal preparata ed incapace di assicurare l’approvvigionamento di derrate alimentari alla popolazione e la fornitura di materie prime all’industria. Orientata verso il commercio con l’estero, l’economia non è in grado di mantenersi neutrale. Durante la seconda guerra la situazione è ancora più difficile. La Svizzera, accerchiata dalla potenza hitleriana, deve fare numerose concessioni: fornisce ad esempio prodotti industriali alla Germania in cambio di carbone, indispensabile fonte di energia. Nel contempo le autorità si sforzano di aumentare con tutti i mezzi possibili la produzione agricola.
Risparmiata dalla guerra, la Svizzera ha l’opportunità di svolgere un’azione umanitaria. Purtroppo dopo il 1940 la volontà di evitare conflitti con i nuovi padroni dell’Europa, la precaria situazione alimentare e l’isolamento, spingono le autorità della Confederazione e dei cantoni a porre restrizioni all’afflusso di profughi. La delicatissima situazione in cui si trovava la Svizzera non deve farci dimenticare che il nostro paese ha respinto un numero difficilmente valutabile di profughi ebrei. È innegabile che le autorità svizzere erano al corrente della sorte riservata alle vittime del nazismo. È anche vero però che a partire dal 1943 il nostro paese ha tenuto un atteggiamento più generoso.
La Svizzera nel mondo
All’indomani della prima guerra mondiale la Svizzera partecipa attivamente alla riconciliazione fra i popoli. La Società delle Nazioni (SdN) ha la sua sede a Ginevra. Dopo alcune esitazioni la Svizzera vi aderisce nel 1920; all’interno di questo organismo essa difende la solidarietà internazionale e la collaborazione con le nazioni vinte. Così, quando alla Conferenza di Locarno del 1925 la Germania accetta le sue nuove frontiere occidentali, La Svizzera sostiene l’adesione di questo paese alla SdN. Nel 1928 anche il nostro paese, assieme ad altre sessanta nazioni, sottoscrive il Patto Briand-Kellogg che dichiara fuorilegge la guerra.
Guidata dal consigliere federale Giuseppe Motta, la politica estera della Confederazione si sforza di conciliare i nuovi impegni internazionali con la neutralità. Questo comportamento incontra maggiori difficoltà quando si tratta di applicare le sanzioni nei confronti di stati che hanno violato il patto della SdN. Dal 1935 l’atteggiamento bellicoso della Germania di Hitler e dell’Italia di Mussolini si fa sempre più evidente. Il fallimento della SdN e l’incapacità delle potenze occidentali di impedire ad Hitler l’annessione dell’Austria (1938) e della Cecoslovacchia (1939) impongono al nostro paese il ritorno ad una neutralità integrale. Dal 1938 al 1953 il Consiglio federale si attiene ad un’interpretazione rigida del concetto di neutralità e rimane ai margini delle grandi questioni internazionali. Così nel 1945 la Svizzera non viene invitata ad aderire all’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU). Partecipa però a numerose organizzazioni sorte sotto l’egida dell’ONU stessa.
Il consigliere federale Max Petitpierre alla guida del Dipartimento politico dal 1945 al 1961 orienta la politica estera verso una maggiore solidarietà internazionale. La neutralità diventa più attiva. Del resto l’intraprendenza tra gli stati e le intense relazioni tra i popoli rendono sempre più insostenibile l’isolamento della Svizzera.
Nel rispetto del principio di neutralità la Confederazione partecipa agli sforzi di integrazione tra gli stati europei: nel 1959 contribuisce alla fondazione dell’Associazione europea di libero scambio (AELS) e nel 1963 aderisce al Consiglio d’Europa. Senza essere membro della Comunità Economica Europea (CEE), la Svizzera conclude con questa organizzazione un accordo di libero scambio, approvato dal popolo e dai cantoni nel 1972. Grazie alla sua equidistanza nei confronti dei blocchi militari, il nostro paese ha avuto un ruolo attivo alla Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione europea e ne ha sottoscritto l’atto finale ad Helsinki nel 1975. La politica d’aiuto allo sviluppo e il principio di solidarietà con il Terzo Mondo incontrano invece ancora molte reticenze nell’opinione pubblica.
Tensioni sociali e minacce alla democrazia tra le due guerre
La prima guerra mondiale ha ripercussioni anche nel nostro paese. I salariati vivono in condizioni materiali precarie per l’aumento del costo dei generi alimentari. I dirigenti del movimento operaio prendono in considerazione la possibilità di uno sciopero generale per cambiare il sistema politico. Il Consiglio federale teme il contagio della rivoluzione bolscevica e mobilita la truppa per mantenere l’ordine. Il Comitato di Olten, comprendente delegati del partito socialista e dell’unione sindacale svizzera, chiama i lavoratori allo sciopero generale nel novembre del 1918. Lo sciopero è seguito in modo ineguale e tocca soprattutto i centri industriali. Queste agitazioni, pur non raggiungendo risultati concreti immediati, danno avvio ad una serie di rivendicazioni fondamentali che saranno poi in gran parte soddisfatte.
Negli anni successivi, in una situazione economica ancora più difficile e in un clima di alta tensione sociale, i rappresentanti degli operai e del padronato preferiscono il negoziato alla prova di forza. Nel 1937 si conclude una pace del lavoro nella metallurgia e nell’orologeria; con questa convenzione il sindacato rinuncia allo sciopero e il padronato alla serrata*, evitando lo scontro per affidarsi alle trattative. Nello stesso periodo si generalizza l’adozione di contratti collettivi di lavoro che definiscono le condizioni alle quali devono conformarsi le parti sociali. Questi rapporti pacifici, favorevoli all’economia del paese e alla stabilità politica, caratterizzano ancora oggi il clima sociale elvetico.
(*) Chiusura della fabbrica decisa dai padroni in risposta ad uno sciopero
Tra le due guerre anche la Svizzera non sfugge al movimento che rimette in discussione i principi democratici liberali e che spinge varie nazioni a scegliere forme di governo autoritarie. In Svizzera i fautori del cosiddetto “movimento nazionale” sono uniti nel sostenere l’iniziativa popolare per la revisione totale della Costituzione. Questa iniziativa, respinta dal popolo nel settembre 1935, tendeva a rafforzare il potere dell’esecutivo federale.
Più inquietante si rivela invece l’attività di numerose associazioni chiamate “fronti”, che, rigidamente organizzate, ispirandosi direttamente all’Italia fascista e alla Germani nazista, seguono un orientamento antisemita e antidemocratico. Alcuni di questi movimenti ottengono successi elettorali a Ginevra, Sciaffusa e Zurigo. Il fermo atteggiamento del Consiglio federale contribuisce al progressivo declino di questi gruppi.
Verso la prosperità economica
La Svizzera è oggi uno dei paesi più ricchi del mondo. La sua popolazione gode di un elevato tenore di vita esteso a quasi tutte le categorie sociali. È questo il risultato di una crescita economica senza precedenti che ha caratterizzato gli anni 1960-1970. Il sistema economico e produttivo ha conosciuto nel corso del XX secolo sostanziali mutamenti. La ripartizione della popolazione attiva nei grandi settori lo mostra chiaramente; il settore agricolo, dal 1920 al 1960, perde 200’000 posti di lavoro, mentre l’industria e i servizi ne guadagnano più di 800’000. Negli ultimi decenni si assiste a un accentuato spostamento della popolazione attiva verso il terziario.
La crisi economica, iniziata nel 1929 negli Stati Uniti d’America, colpisce duramente anche il nostro paese dal 1932. Nel 1936 la situazione è catastrofica: le esportazioni sono 1/3 di quelle del 1929. La svalutazione del franco svizzero del 30% contribuisce al rilancio dell’economia nazionale.
Per superare la crisi l’industria orologiera si organizza in cartelli*. Il settore tessile, fino a quel momento pilastro dell’industria elvetica, perde la supremazia a favore di quello metalmeccanico. La produzione dell’alluminio e l’industria chimica, assai dinamici, resistono meglio alla crisi. La concentrazione delle grandi aziende rappresenta pure un efficace sistema per lottare contro la concorrenza straniera. Nel ramo idroelettrico la Brown-Boveri e la Motor-Columbus, fondata nel 1923, detengono una posizione dominante. Già a partire dal 1918 i colossi dell’industria chimica basilese Ciba, Geigy e Sandoz si alleano tra loro. Nel settore alimentare numerose fusioni di aziende accrescono l’importanza della Nestlé, un vero e proprio gigante in questo campo.
(*) Si tratta di accordi tra imprese con l’obiettivo di fissare i prezzi dei loro prodotti, di delimitare le aree di smercio per ridurre o sopprimere la reciproca concorrenza.
L’estensione della rete di distribuzione dall’inizio del XX secolo e l’elettrificazione delle ferrovie danno un forte impulso alla produzione di energia elettrica. Il consumo totale cresce del 125% tra il 1910 e il 1929, raddoppia tra il 1929 e il 1948 con la costruzione dei grandi sbarramenti nella regione alpina. Dopo la seconda guerra mondiale, carbone e legna perdono d’importanza. I prodotti petroliferi d’importazione sono riusciti finora a coprire gran parte del nostro fabbisogno energetico. negli ultimi anni la costruzione di centrali nucleari ha suscitato un acceso dibattito senza portare a soluzioni definitive nell’ambito delle energie alternative e dello smaltimento dei rifiuti radioattivi.
Lo stato sociale
Le guerre mondiali hanno temporaneamente dato al Consiglio federale i pieni poteri. Una volta ristabilita la pace è difficile rinunciare al sostegno dello stato in campo economico e sociale. Al contrario, l’intervento sempre più accentuato dello stato, al quale si chiede di proteggere l’individuo dalla nascita alla morte, diventa un aspetto caratteristico della storia recente.
I contadini, organizzati nella potente Unione dei contadini, rivendicano, già a partire dagli anni venti, il sostegno dei prezzi della produzione agricola e una politica doganale favorevole ai prodotti indigeni. Diverse misure legislative in favore dell’agricoltura vengono adottate nel 1929, 1951 e 1962.
Anche le organizzazioni sindacali lottano per l’estensione dello stato sociale. Nel 1919 la durata della settimana lavorativa passa da 54 a 48 ore; oggi tale durata si aggira attorno alle 42 ore ed un ulteriore riduzione è auspicata per il futuro. Oltre alla regolamentazione del lavoro, la Confederazione estende le sue prerogative nel campo sociale. Nel 1925 viene accettato il principio di un’assicurazione vecchiaia e superstiti, ma la sua attuazione si rivela lunga e laboriosa; respinta nel 1931, la legge AVS è approvata solo nel 1947. Da allora molteplici revisioni hanno permesso di adattare le disposizioni alle mutate condizioni sociali. Se nel 1926 il paese conosceva il pieno impiego, la crisi degli anni successivi creò un numero notevole di disoccupati. Riassorbita durante il periodo bellico, la disoccupazione riapparve con la recessione del 1974. Nel 1976 si introduce l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione.
La crisi ha condizionato la politica economica moderna. quest’ultima si basa sugli articoli congiunturali adottati nel 1939 e inseriti nella costituzione nel 1947: essi permettono alla Confederazione di intervenire in favore dell’agricoltura e dell’industria in caso di crisi economica. Queste disposizioni sono state ampliate e perfezionate nel 1978.
I problemi della storia recente
L’urbanizzazione, l’inquinamento industriale e la crescita del traffico stradale sono alcuni dei principali problemi che minacciano l’equilibrio dell’ambiente. Per lottare contro lo spreco del territorio e per migliorare la qualità della vita sono state attribuite alle autorità estese competenze in materia di pianificazione e protezione dell’ambiente.
La crescita economica del dopoguerra ha causato un forte bisogno di manodopera, costituita in misura rilevante di lavoratori stranieri. La popolazione straniera in Svizzera superava il milione nel 1974 (oltre il 16% della popolazione totale). Numerose iniziative tendenti a ridurre anche drasticamente il numero degli stranieri sono state respinte dal popolo, talvolta di stretta misura. Il problema dell’integrazione dei lavoratori stranieri non si può certo considerare risolto.
Con la votazione del 23 giugno 1974 gli abitanti del Giura bernese decidono di separarsi dal canton Berna. Questa procedura, ammessa dalle autorità bernesi dal 1970, risolve la questione giurassiana che si trascina dal 1815. Il 24 settembre 1978 il popolo svizzero accetta a forte maggioranza il Giura quale nuovo cantone della Confederazione.
Mentre i cittadini sono sempre più spesso chiamati alle urne per pronunciarsi su iniziative popolari o su progetti di legge sottoposti a referendum, il crescente disinteresse nei confronti della cosa pubblica minaccia il buon funzionamento del sistema democratico. Il numero delle astensioni, in occasione di scrutini federali, supera generalmente la metà del corpo elettorale. Il federalismo è pure messo alla prova: sono in atto tendenze sempre più forti verso una centralizzazione del potere che obbligano le autorità a ridefinire i compiti spettanti ai comuni, ai cantoni e alla Confederazione.
Nel 1984 per la prima volta una donna viene eletta in Consiglio federale: si tratta della radicale zurighese Elisabeth Kopp, uscita di scena in seguito alle vicende giudiziarie che hanno visto coinvolto il marito e la sua attività.
Il 10 marzo 1986 il popolo svizzero ha rifiutato a netta maggioranza l’adesione del nostro paese all’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), tuttavia, mutando atteggiamento ed aprendosi al mondo, successivamente, nel settembre del 2002, la Confederazione ha deciso di entrare come membro, a pieno diritto, nell’ONU.
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