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La solidarietà coniugale “in ricchezza e in povertà” continua anche da separati

Due coppie, entrambe sposate, residenti nella stessa città, ma con diversissime capacità economiche. La prima abita in un bilocale di un quartiere periferico ed è la classica famiglia monoreddito: la moglie è casalinga, il marito è l’unico ad avere un impiego. Il suo però è uno stipendio piuttosto esiguo, tant’è che la somma che percepisce a malapena risulta sufficiente per coprire tutte le spese. La seconda, invece, vive in un attico nel pieno centro storico. Entrambi i coniugi provengono da famiglie abbienti. La moglie, che non lavora, si occupa dell’amministrazione e della gestione delle proprietà immobiliari in affitto sue e del marito, che invece è un affermato manager.

In caso di separazione, le due mogli – entrambe inoccupate – potrebbero chiedere un assegno di mantenimento e, con molte probabilità, entrambe potrebbero vederselo riconosciuto.

L’indipendenza dell’assegno di mantenimento dallo status economico

L’assegno di mantenimento si fonda sul principio di solidarietà coniugale e ha natura prettamente assistenziale. Il suo scopo infatti è riequilibrare l’eventuale sbilanciamento economico che potrebbe venirsi a creare conseguentemente alla separazione. Con questo scopo, l’ordinamento italiano prevede che la parte economicamente più forte della coppia supporti quella più debole, perché questa possa essere in grado di godere del tenore di vita avuto durante la convivenza matrimoniale.

Appare quindi con molta chiarezza come l’eventuale riconoscimento di un assegno di mantenimento dipenda da un principio “universale” di assistenza che non ha diretti legami col fattore reddituale o economico della coppia. Naturalmente, quando viene determinato l’ammontare dell’assegno, la valutazione delle risorse economiche e patrimoniali ha il suo peso; tuttavia, non è in funzione di quelle risorse che il Giudice stabilisce a priori se un coniuge abbia o meno il diritto a ricevere l’assegno.

L’esigua capacità economica del marito appartenente alla prima coppia, o la ricchezza dei coniugi della seconda, quindi, non sempre rappresentano un fattore determinante in fase di riconoscimento dell’assegno di mantenimento.

Nel primo caso, infatti, il Giudice potrebbe comunque individuare un soggetto più debole nella figura della moglie e imporre quindi al marito il versamento di un contributo, seppur minimo, per far fronte alle esigenze primarie di vita.

Nel secondo, viceversa, il tenore di vita della coppia durante la convivenza coniugale potrebbe risultare talmente elevato, da non essere sostenibile da parte del coniuge in posizione di svantaggio con i suoi soli mezzi. In altre parole, la moglie, per quanto abbiente, potrebbe ottenere comunque l’assegno di mantenimento, perché tutte le sue disponibilità potrebbero non bastare per garantirle lo stile di vita fino a quel momento goduto.

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