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Shopping compulsivo: in caso di separazione, si è a rischio di addebito

Molto spesso si è talmente sicuri di conoscere a fondo una persona, specie se è quella con cui si è scelto di vivere il resto della propria vita, che quando si scoprono lati nascosti o particolari scomodi che la riguardano, si fa fatica a credere che questi siano veri.

Pensiamo ad un marito che, dopo anni di matrimonio, inizia a notare che la moglie spende cifre esorbitanti per l’acquisto di beni futili, come abiti, gioielli, borse, cosmetici. Nonostante le ottime disponibilità economiche della famiglia, si rende conto che la moglie non ha la minima capacità di amministrare le finanze familiari e che le sue spese frivole sono il frutto di un impulso irrefrenabile all’acquisto. Il marito perde la fiducia e le liti dovute ai continui sprechi di lei si susseguono diventando sempre più accese, finché il marito decide di agire e chiedere la separazione. In questo caso egli potrebbe ottenere anche l’addebito a carico della moglie

Questo si verificherebbe se si dimostrasse che la causa della separazione è proprio il comportamento irresponsabile della moglie che ha sperperato molto denaro sottraendo risorse destinate alla famiglia e trascurandone gli affetti.

La moglie perderebbe il diritto all’assegno di mantenimento e, tutt’al più, le verrebbe riconosciuto il solo assegno alimentare, che sarebbe decisamente meno oneroso per il marito. Gli alimenti, infatti, hanno lo scopo di far fronte alle sole esigenze primarie di vita e non al mantenimento del tenore di vita goduto durante il matrimonio.

Lei, però, potrebbe sostenere la sua innocenza e pretendere che le venga riconosciuto un assegno di mantenimento che, date le disponibilità del marito potrebbe raggiungere una somma piuttosto importante.

L’eccezionalità del disturbo da shopping compulsivo

Il Giudice, per valutare oggettivamente un caso come questo con ogni probabilità farà svolgere una consulenza tecnica d’ufficio (o CTU), al fine di esaminare approfonditamente la personalità della moglie e capire fino a che punto risulti compromessa.

Solitamente, in caso di nevrosi o malattie di origine psicotica non può essere riconosciuto l’addebito della separazione. Tuttavia, secondo la Cassazione, lo shopping compulsivo può rappresentare un caso a parte perché legato ad un mero appagamento di bisogni personali fine a se stessi.

Quindi, qualora la CTU confermasse la diagnosi di shopping compulsivo, e questa fosse la causa dell’intollerabilità della convivenza, molto probabilmente la separazione verrebbe addebitata alla moglie, con tutte le conseguenze del caso.

Teniamo presente comunque che queste situazioni costituiscono episodi a sé stanti, che devono essere analizzati e valutati in maniera indipendente l’uno dall’altro.

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