Tag Archivio per: convivenza

Assegno divorzile: sì anche in caso di nuova convivenza dell’ex coniuge

L’ex coniuge che beneficia dell’assegno che ha una nuova convivenza, stabile e continua, può mantenere la titolarità del mantenimento: lo hanno detto le Sezioni Unite della Corte di Cassazione ribaltando un orientamento che ormai da anni era diventato granitico in materia.

Sebbene non ci sia una disposizione di legge che regolamenta questa situazione, si era soliti considerare l’inizio di una nuova convivenza dell’ex coniuge beneficiario come motivo per interrompere il pagamento dell’assegno divorzile.

La legge n.898/1970, infatti, prevede la celebrazione delle nuove nozze del beneficiario come unica causa espressa di cessazione del diritto a percepire l’assegno divorzile. Partendo da questo dato normativo giudici e avvocati, concordi con l’interpretazione maggioritaria della Corte di Cassazione, hanno ritenuto di poter estendere analogicamente questa prassi anche in caso di nuova convivenza.

Cambio di rotta delle Sezioni Unite in tema di assegno divorzile e nuova convivenza

Con una sentenza innovativa le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno, per certi versi, ribaltato l’impostazione seguita fino a questo punto dagli addetti ai lavori partendo dalla concezione retributivo-compensativa dell’assegno divorzile che è stata introdotta da un’altra celebre sentenza delle Sezioni Unite del 2018 incentrata sulla natura del contributo economico per l’ex coniuge.

Secondo la Cassazione del 2018, la funzione dell’assegno divorzile è anche quella di ristorare l’ex coniuge per il contributo e i sacrifici fatti nell’interesse della famiglia e dell’altro coniuge. Partendo da tale presupposto il diritto a questa “compensazione” non può escludersi per intero e in automatico qualora il beneficiario inizi una stabile convivenza, nonostante si riconosca al diudice la possibilità di una modulare l’importo mensile.

Iniziare un nuovo percorso di vita con un altro compagno, quindi, potrebbe provocare la perdita della parte assistenziale dell’assegno divorzile ma non della componente compensativa che verrà riparametrata dal giudice tenendo conto di vari criteri, tra cui:

  • la durata del matrimonio;

  • la prova dell’apporto del beneficiario al patrimonio familiare;

  • le eventuali vicende economiche che hanno contraddistinto la vita familiare e del beneficiario (ad esempio rinunce lavorative o di crescita professionale);

  • l’assenza attuale di adeguati mezzi di mantenimento autonomo e l’impossibilità oggettiva di procurarseli.

Spiccata differenza tra convivenza e matrimonio sulle sorti dell’assegno divorzile

La circostanza che balza agli occhi con estrema evidenza, dopo la lettura della sentenza delle Sezioni Unite, è la decisione di escludere in maniera inequivocabile le convivenze more uxorio dall’applicazione dell’art. 5, comma 10 della legge sul divorzio, ossia la disposizione che fa cessare il diritto a percepire l’assegno mensile in caso di nuove nozze.

La differenza tra matrimonio e convivenza viene, quindi, ancora una volta enfatizzata dalla Corte di Cassazione non senza un certo disagio e incertezza per gli operatori professionali e per le parti che si trovano a gestire una crisi familiare. Il diverso trattamento che viene riservato a convivenza e matrimonio, infatti, sembra apparire un po’ anacronistico rispetto alla situazione sociale degli ultimi anni dove stiamo vedendo una proliferazione delle convivenze a discapito della celebrazione di unioni matrimoniali.

Se, infatti, sotto molteplici aspetti è giuridicamente corretto lasciare una differenziazione netta tra l’istituzione del matrimonio e la convivenza more uxorio, per quanto riguarda il concetto che sostiene la ratio dell’assegno divorzile la convivenza e matrimonio sono modelli familiari dai quali scaturiscono obblighi di solidarietà morale e materiale che giustificherebbero l’estinzione dell’assegno divorzile, tanto nel caso di nuove nozze che nel caso di convivenza more uxorio.

Gli avvocati dello Studio legale Marzorati sono in grado di seguire casi in tutti Italia. Se hai bisogno di assistenza legale, o desideri fissare un appuntamento con uno dei nostri avvocati

SCRIVICI SENZA IMPEGNO Telefono

Convivenza con partner straniero: si al permesso di soggiorno

Quando il partner straniero non ha il permesso di soggiorno può sembrare difficile iniziare una convivenza regolare in Italia. In realtà sia la legge che le ultime sentenze sembrano facilitare una soluzione positiva per molte coppie che si trovano in questa situazione.

Il primo strumento che viene in aiuto delle coppie miste è La legge Cirinnà (Legge n. 76/2016) che ha riconosciuto le convivenze di fatto – sia omosessuali che eterosessuali – tra due persone maggiorenni (non sposate né parenti tra loro) che hanno un legame di coppia caratterizzato da assistenza morale e materiale.

Riconoscimento della convivenza di fatto con partner straniero con intervento dell’Avvocato

Per poter ottenere il permesso di soggiorno del partner straniero, la convivenza di fatto deve essere riconosciuta e formalizzata stipulando un contratto di convivenza sottoscritto e autenticato, ad esempio, dinanzi ad un Avvocato.

La redazione del contratto di convivenza autenticato è lo strumento che permette alla coppia mista di provare l’esistenza una relazione stabile tra il cittadino italiano e lo straniero e, quindi, di poter applicare la direttiva 2004/38/CE (recepita in Italia dal d.lgs. n. 30/2007). Questa direttiva conferisce ai cittadini dell’Unione Europea, e ai loro familiari, il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, agevolando l’ingresso ed il soggiorno anche al partner.

Sulla base di queste disposizioni di legge la compagna o il partner extracomunitario deve poter essere iscritto all’anagrafe di qualunque comune italiano, necessaria per ottenere il permetto di soggiorno.

Cosa fare se il comune rifiuta l’iscrizione all’anagrafe

In alcuni casi si sono verificati dei rifiuti di registrazione anagrafica da parte dei comuni. Svariati Tribunali italiani hanno, però, dichiarato l’illegittimità di questi dinieghi ed hanno affermato il diritto all’ingresso in Italia ed al ricongiungimento per quegli stranieri che hanno un partner italiano, se intrattengono con questo una relazione stabile debitamente attestata da documentazione ufficiale, anche se non registrata (segnaliamo tra i provvedimento più interessanti: quello del Tribunale di Bologna con ordinanza n. 21280/2020; del Tribunale di Modena con ordinanza n. 370/2020; del Tribunale di Milano, con ordinanza del 24 aprile 2021).

I Giudici hanno rilevato che per ottenere il riconoscimento delle convivenze, la coppia deve solo provare

  • di avere sufficienti risorse economiche;
  • l’esistenza di idonea soluzione abitativa nel comune;
  • un contratto di convivenza sottoscritto davanti un avvocato in qualità di pubblico ufficiale.

In questi casi il comune deve concedere la registrazione anagrafica dello straniero, con la quale sarà possibile avere il permesso di soggiorno. In caso contrario la coppia potrà ricorrere all’Autorità giudiziaria contro il rifiuto del comune per ottenere un ordine di trascrizione da parte del Giudice e, successivamente, recarsi in Questura per le pratiche relative al permesso di soggiorno.

Gli avvocati dello Studio legale Marzorati sono in grado di seguire casi in tutti Italia. Se hai bisogno di assistenza legale, o desideri fissare un appuntamento con uno dei nostri avvocati

SCRIVICI SENZA IMPEGNO Telefono

Coppie di fatto: cosa possono regolare i contratti di convivenza

Le coppie di fatto con la Legge Cirinnà possono registrare i c.d. contratti di convivenza che permettono di regolare alcuni aspetti economici dell’unione.

Dobbiamo precisare, per chiarezza, che questi contratti di convivenza non conferiscono alle coppie i medesimi diritti previsti per chi si sposa e neppure per chi si unisce civilmente. Le unioni civili, infatti, sono accessibili unicamente alle coppie omosessuali e conferiscono un regime di diritti, doveri e tutele largamente assimilabile a quello del matrimonio.

Quali accordi si possono inserire nel contratto

 

Pensiamo ad una coppia che decide di mettere nero su bianco alcuni aspetti per regolare una convivenza che va avanti da anni ed è stata da poco allietata dall’arrivo di un figlio.

Data la novità della norma, i due non sanno che tipo di accordi inserire e, soprattutto, si chiedono se sia possibile comprendere alcune clausole inerenti la vita del bambino e la sua educazione.

Occorre chiarire che il contenuto dei contratti di convivenza deve essere principalmente di natura patrimoniale. Per fare qualche esempio, quindi, potrebbero essere allegati accordi sulla suddivisione delle spese comuni, sulla contribuzione nell’attività lavorativa domestica e non, sui criteri di attribuzione della proprietà dei beni acquistati dai conviventi (come in una sorta di regime di comunione o separazione), e sulle modalità di uso della casa familiare.

Dato che si trattano questioni patrimoniali, nel contratto di convivenza sarà ammesso l’accordo relativo alla definizione degli aspetti economici in caso di cessazione della convivenza al fine di evitare, nel momento della rottura, discussioni e rivendicazioni.

Un’eccezione si rinviene nella possibilità di determinare le volontà in termini di assistenza nei casi di malattia fisica o psichica e la designazione reciproca ad amministratore di sostegno.

Contratto di convivenza e figli: quali clausole sono permesse

Per rispondere idealmente al dubbio della coppia del nostro esempio possiamo affermare che potrebbero essere ammesse anche le clausole relative al mantenimento, all’istruzione ed all’educazione dei figli, a meno che non escludano uno degli obblighi predetti che deve ricadere su entrambi i genitori.

È opportuno precisare che si tratta, comunque, di clausole sempre suscettibili di essere revocate e modificate nell’interesse della prole che deve considerarsi sempre preminente rispetto a quello dei conviventi a veder rispettato quanto concordato.

Gli avvocati dello Studio legale Marzorati sono in grado di seguire casi in tutti Italia. Se hai bisogno di assistenza legale, o desideri fissare un appuntamento con uno dei nostri avvocati

SCRIVICI SENZA IMPEGNO Telefono

Assegnazione casa familiare: disposta anche se i genitori non sono sposati | Convivenza e coppie di fatto

Tutti i figli godono degli stessi diritti, che derivano loro dallo status di figlio e non dal fatto di essere nati durante il matrimonio dei genitori. Ciò ha dirette implicazioni per le coppie di conviventi. In caso di cessazione della convivenza, infatti, se si è in presenza di figli, i genitori devono rispettare le regole previste  per le coppie sposate, che si separano, in materia di affidamento e mantenimento dei figli e assegnazione della casa familiare. Lo scopo è quello di tutelare i figli e i loro interessi.

La casa familiare dopo la rottura della convivenza

Il concetto di assegnazione della casa familiare veniva solitamente associato a una procedura di separazione. Oggi è ormai assodata la possibilità di procedere con la decisione sulla casa anche di fronte alla fine di una convivenza more uxorio. La casa familiare, come luogo di protezione naturale del bambino, infatti, è strettamente legata ai suoi bisogni ed alle sue esigenze. Per questo motivo le decisioni che la coinvolgono sono influenzate dalla presenza di un figlio. Del resto se due conviventi diventano genitori contraggono gli stessi e identici obblighi nei confronti dei figli rispetto a due genitori sposati. Il principio di responsabilità genitoriale, infatti, deriva dalla maternità e dalla paternità, non dal matrimonio.

Di fronte alla nascita di un bambino, quindi, i genitori conviventi hanno il dovere di far fronte a tutte le sue esigenze, anche nel momento in cui la convivenza dovesse interrompersi. Come durante una separazione, infatti, la fine di una convivenza può rappresentare per il figlio un momento particolarmente difficile. Il bambino potrebbe faticare, soprattutto nei primi tempi, ad accettare il distacco da uno dei due genitori. Si tratta di una fase molto delicata, soprattutto se il figlio coinvolto è molto piccolo: l’iniziale spaesamento per la mancanza di uno dei suoi punti di riferimento potrebbe provocargli stress, sofferenza e, in generale, una sensazione di disagio. Naturalmente, la situazione si complica se questa fase di distacco è accompagnata da un clima di accesa conflittualità, determinato da contese tra i genitori.

Per queste ragioni a tutela del minore si cerca di limitare, per quanto possibile, ogni ulteriore significativo cambiamento che potrebbe turbarlo, primo tra tutti l’improvviso cambio di casa.

Nella grande maggioranza dei casi, quando due genitori ex conviventi si trovano dinanzi al Tribunale per la definizione dell’affidamento e del mantenimento dei figli, il Giudice assegna la casa familiare al genitore prevalentemente convivente con loro, proprio per i motivi che abbiamo accennato. Ciò vale indipendentemente dalla proprietà dell’immobile: l’assegnazione viene effettuata senza badare al fatto che essa appartenga ad uno solo dei genitori o sia in comproprietà. In sostanza l’eventuale proprietario non assegnatario resterà proprietario dell’immobile ma dovrà andare a vivere da un’altra parte.

Gli avvocati dello Studio legale Marzorati sono in grado di seguire casi in tutti Italia. Se hai bisogno di assistenza legale, o desideri fissare un appuntamento con uno dei nostri avvocati

SCRIVICI SENZA IMPEGNO Telefono

Nuova convivenza nella casa familiare dopo la separazione o il divorzio | Conseguenze

Iniziare una nuova convivenza nella casa familiare dopo la separazione o il divorzio può comportare alcune importanti conseguenze. Mettiamo il caso in cui marito e moglie sono separati con la casa familiare che è stata assegnata alla moglie, collocataria dei figli. Precisiamo che la medesima disciplina potrebbe essere applicata in caso di divorzio già avvenuto.

Quando la nuova convivenza incide sull’assegnazione della casa

 

Prima di valutare di iniziare una nuova convivenza, sarebbe doveroso considerare quale effetto questa possa avere sui figli. Sono loro, infatti, a dover essere tutelati da ogni possibile fonte di turbamento.

In sostanza la nuova convivenza instaurata nella casa familiare non deve essere fonte di stress né deve risultare un elemento di disturbo per la crescita psicofisica dei figli. Quando questo non avviene la nuova convivenza non può, in linea generale, provocare la revoca dell’assegnazione dell’abitazione familiare.

La decisione con cui il giudice stabilisce l’assegnazione o la revoca, infatti, è sempre il frutto di una valutazione che mette in primo piano gli interessi della prole. Quindi, finché la casa familiare viene riconosciuta come il centro degli affetti e delle consuetudini per i figli, la revoca della casa non è (solitamente) prevista.

Una revoca dell’assegnazione potrebbe avvenire nei casi in cui – ad esempio – i figli maggiorenni, divenuti economicamente autonomi, decidessero di andare a vivere per conto proprio, oppure quando i minori frequentassero una scuola distante da casa, che imporrebbe il loro allontanamento dall’abitazione familiare. In pratica quando la casa non è più il nido, il porto sicuro, l’habitat naturale della prole.

Quando si corre il rischio di perdere l’assegno di mantenimento

 

Come detto, però, un rapporto stabile di convivenza può avere importanti conseguenza. Secondo le ultime interpretazioni della giurisprudenza la stabilità del nuovo legame può essere un motivo per “rivedere” l’assegno di mantenimento.

Chi è obbligato a versare l’assegno, infatti, facendo ricorso in Tribunale, potrebbe con ogni probabilità ottenere una diminuzione dell’importo previsto o addirittura la revoca totale dell’assegno.

Gli avvocati dello Studio legale Marzorati sono in grado di seguire casi in tutti Italia. Se hai bisogno di assistenza legale, o desideri fissare un appuntamento con uno dei nostri avvocati

SCRIVICI SENZA IMPEGNO Telefono

Diritti e doveri che nascono con una convivenza di fatto registrata | Cosa sono le convivenze di fatto registrate?

Il ddl Cirinnà ha previsto una regolamentazione per le convivenze di fatto registrate che sono costituite da una coppia di fatto composta da persone di sesso diverso (eterosessuale) o dello stesso sesso (omosessuale). La convivenza registrata fa sorgere specifici diritti e doveri in capo ai conviventi.

Si intendono per conviventi di fatto due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità, adozione, da matrimonio o unione civile.

COSTITUZIONE DELLA CONVIVENZA REGISTRATA (come si costituiscono le convivenze di fatto registrate?)

È sufficiente fare una dichiarazione all’Anagrafe della stabile convivenza.

DIRITTI NASCENTI DALLA CONVIVENZA REGISTRATA (quali sono i diritti del convivente in una convivenza di fatto registrata?)

I conviventi di fatto hanno gli stessi diritti spettanti al coniuge in caso di malattia o di ricovero, hanno diritto reciproco di visita, di assistenza e di accesso alle informazioni personali nonché gli stessi diritti spettanti al coniuge nei casi previsti dall’ordinamento penitenziario.

Qualora si abbia una casa di proprietà, in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Qualora si abbia, invece, una casa in affitto, nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente di fatto ha facoltà di succedergli nel contratto.

DIRITTI DEL CONVIVENTE NELL’ATTIVITÀ DI IMPRESA

Al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato. Il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato.

RAPPORTI PATRIMONIALI E CONTRATTO DI CONVIVENZA (qual è il regime patrimoniale nelle convivenze di fatto registrate?)

Con la convivenza di fatto registrata non si instaura alcun regime patrimoniale automatico, tuttavia i conviventi possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza, in forma scritta a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata, con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato.

Il contratto può contenere: l’indicazione della residenza; le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo; il regime patrimoniale della comunione dei beni come da codice civile. Il regime patrimoniale scelto nel contratto di convivenza può essere modificato in qualunque momento. Il contratto di convivenza non può essere sottoposto a termine o condizione.

SUCCESSIONE – DIRITTO DI ABITAZIONE DELLA CASA DI PROPRIETÀ (nelle convivenze di fatto registrate, alla morte del convivente, si può continuare ad abitare la casa familiare?)

In caso di morte del proprietario della casa di comune residenza, il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Ove nella stessa casa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni. Il diritto viene meno nel caso in cui il convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza o in caso si sposi o costituisca una unione civile o qualora inizi una nuova, effettiva e stabile convivenza more uxorio tale da dar vita ad una vera e propria nuova famiglia di fatto

SUCCESSIONE – CONTRATTO DI LOCAZIONE DELLA CASA (nelle convivenze di fatto registrate, alla morte del convivente, si può succedere nel contratto di affitto della casa?)

Nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente ha facoltà di succedergli nel contratto.

SUCCESSIONI – NIENTE EREDITA’ NÉ PENSIONE DI REVERSIBILITÀ’

Nelle unioni di fatto registrate, il partner superstite non ha diritto all’eredità del convivente defunto, fatte salve lecite disposizioni testamentarie, né la reversibilità della pensione.

Gli avvocati dello Studio legale Marzorati sono in grado di seguire casi in tutti Italia. Se hai bisogno di assistenza legale, o desideri fissare un appuntamento con uno dei nostri avvocati

SCRIVICI SENZA IMPEGNO Telefono

Il contratto di convivenza nelle convivenze di fatto regolamentate dopo la legge Cirinnà

Le convivenze di fatto sono state regolamentate con la legge Cirinnà che permette la redazione di un contratto di convivenza che regoli gli aspetti di preminente interesse. Vediamo di seguito le principali caratteristiche che potranno assumere questi contratti.

Con la mera convivenza di fatto non si instaura alcun regime patrimoniale né alcuna obbligazione tra i conviventi. Tuttavia quest’ultimi possono adesso disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza, in forma scritta a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata, o con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato.

Il contratto può contenere: l’indicazione della residenza; le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo; il regime patrimoniale della comunione dei beni come da codice civile.

Il regime patrimoniale scelto nel contratto di convivenza può essere modificato in qualunque momento. Il contratto di convivenza non può essere sottoposto a termine o condizione.

Il contratto di convivenza si risolve per: accordo delle parti; recesso unilaterale; matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed altra persona; morte di uno dei contraenti.

La risoluzione determina lo scioglimento della comunione dei beni, se prevista.

Gli avvocati dello Studio legale Marzorati sono in grado di seguire casi in tutti Italia. Se hai bisogno di assistenza legale, o desideri fissare un appuntamento con uno dei nostri avvocati

SCRIVICI SENZA IMPEGNO Telefono

Ri…sedotto e abbandonato

Dopo la separazione, può accadere che i due coniugi siano travolti dalla passione che li legava un tempo e ricostruiscano un legame sentimentale: tornare a dormire moglie insieme, avere rapporti intimi, può creare aspettative e far pensare che i rapporti ricuciti possano andare nella direzione di una riconciliazione. Pensiamo alla doccia fredda che può avere un marito se dopo tutto questo la moglie decide di chiedere il divorzio.

Presupposti della riconciliazione 

Affinché la riconciliazione possa rendere nulli gli effetti della separazione è indispensabile che vi sia la concreta ricostituzione dell’unione. Marito e moglie devono cioè ritrovare quella comunione materiale e spirituale che contraddistingue il matrimonio e che viene meno in caso di separazione. In questo senso la semplice convivenza non è sufficiente, né lo è l’eventuale ripresa di rapporti sessuali: è necessario che i due coniugi ritrovino la comune volontà di rimettere insieme le forze per continuare un percorso di vita comune. Se ad esempio la conflittualità continua, nonostante il rinnovato tentativo di convivenza, è altamente improbabile riconoscere una riconciliazione. Diversamente, può essere confermata la riconciliazione nel momento in cui tra marito e moglie sia verificabile il fermo desiderio di entrambi di ricostruire un rapporto a due duraturo.

La riconciliazione come strumento per opporsi al divorzio

Perché si possa parlare di riconciliazione, quindi, è essenziale che la famiglia torni a essere unita e venga ripristinata la comunione alla base della vita di coppia. In tal caso il Giudice potrebbe ritenere interrotta la separazione, purché vi siano atti, comportamenti, gesti concreti, dimostrabili e oggettivi, che accertino l’effettiva ricostituzione del legame matrimoniale. Qualora quindi la riconciliazione fosse oggettiva e verificabile, il marito potrebbe opporsi all’eventuale richiesta di divorzio formulata dalla moglie. Se accertata, la riconciliazione cancellerebbe lo status di separati costringendo il coniuge che ha richiesto il divorzio a ricominciare l’iter dalla separazione.

Gli avvocati dello Studio legale Marzorati sono in grado di seguire casi in tutti Italia. Se hai bisogno di assistenza legale, o desideri fissare un appuntamento con uno dei nostri avvocati

SCRIVICI SENZA IMPEGNO Telefono

Dopo il divorzio, una nuova storia d’amore. Cosa accade all’assegno divorzile in caso di convivenza

Un matrimonio fallito alle spalle è senza dubbio una ferita che pesa. Eppure, anche quando si è convinti di non “avere più l’età” per innamorarsi o quando l’idea di un nuovo partner è proprio l’ultimo dei pensieri, può capitare del tutto inaspettatamente di ritrovarsi a vivere una relazione serena e felice.

Può così accadere che una donna, chiuso il capitolo del primo matrimonio, incontri un nuovo partner e inizi con lui una storia d’amore. Col tempo, se tutto procede per il meglio, potrebbe tornare a farsi vivo il desiderio di mettere radici più profonde, ad esempio andando a convivere e rendendo in questo modo più stabile il rapporto anche nella quotidianità. Vivere insieme è infatti un traguardo importante e significativo, da affrontare a cuor leggero se è ciò che si desidera realmente, ma quando si ha un divorzio alle spalle è bene conoscere quali potrebbero essere le conseguenze che una nuova convivenza potrebbe comportare, in primo luogo se si è titolari di un assegno divorzile.

Nuove nozze dopo il divorzio

L‘obbligo di corrispondere l’assegno all’ex coniuge viene meno in caso di seconde nozze. Se, cioé, il beneficiario decide di risposarsi, il suo diritto all’assegno divorzile cessa definitivamente. E’ necessario, però, depositare apposita istanza di modifica delle condizioni di divorzio al Tribunale competente.

La convivenza

Si può giungere ad una revisione delle condizioni di divorzio, anche quando il beneficiario inizi una nuova convivenza che ha carattere di stabilità e continuità. In particolar modo l’ex coniuge potrà perdere l’assegno di mantenimento, o vederselo ridotto, senza possibilità di chiederlo nuovamente, anche qualora la convivenza dovesse finire.

Non pensiamo, quindi di evitare intenzionalmente le nozze col nuovo compagno per il timore di perdere l’assegno di mantenimento privilegiando viceversa una convivenza, perché anche in quest’ultimo caso si potrebbe rischiare di vedersi negato il diritto all’assegno. Se l’ex richiedesse al tribunale una revisione degli accordi, il Giudice potrebbe stabilire una diminuzione dell’importo o perfino esonerarlo del tutto dall’obbligo di pagamento.

In qualsiasi circostanza, però, è bene precisare che l’assegno non può essere sospeso di propria iniziativa dal coniuge obbligato a versarlo. Solo una sentenza emessa dal Giudice può stabilire una revisione o la sua totale cancellazione.

Gli avvocati dello Studio legale Marzorati sono in grado di seguire casi in tutti Italia. Se hai bisogno di assistenza legale, o desideri fissare un appuntamento con uno dei nostri avvocati

SCRIVICI SENZA IMPEGNO Telefono

Non ti sopporto più! Quando la convivenza coniugale diventa intollerabile

Durante la convivenza coniugale, periodi felici si alternano più o meno fisiologicamente a fasi più critiche, in cui i due coniugi si allontanano e i loro rapporti si raffreddano. Si tratta di cicli inevitabili, che tutte le coppie, prima o poi, sono destinate ad affrontare. Ma quando il periodo di crisi sembra non giungere a una fine, è probabile che le cause siano da individuarsi altrove, in elementi ben più profondi e radicati.

L’intollerabilità della convivenza

Può accadere che per motivi di lavoro la moglie sia obbligata a trascorrere lunghi e frequenti periodi fuori casa. Il marito, dopo anni trascorsi in questa condizione, stanco di aver perso la dimensione più quotidiana del rapporto, potrebbe decidere di mettere fine all’unione. Benché sentimentalmente difficile, il peso di un matrimonio che non lo rende più felice lo porta a scegliere la via della separazione.

La moglie, convinta che questo non rappresenti un motivo sufficiente per mettere fine al loro matrimonio, ne rimane sconvolta, delusa e anche negativamente sorpresa. Per questo cerca di opporsi, sostenendo che la lontananza da casa, cui è stata costretta, non sia una libera scelta, ma una necessità dettata dalla sua attività professionale.

Decidere di separarsi per intollerabilità della convivenza è una delle prime cause che portano alla separazione oltre ad essere un diritto legittimo di ogni coniuge.

Chiunque può chiedere, e ottenere, la separazione personale nel momento in cui viene meno quella comunione spirituale e materiale su cui il matrimonio è fondato. In altre parole, ciascuno dei due coniugi può chiedere la separazione se la convivenza coniugale è divenuta del tutto insostenibile o se è ravvisabile  un grave pregiudizio all’educazione dei figli.

L’intollerabilità della convivenza può essere avvertita anche da uno solo dei coniugi e non dipendere necessariamente da comportamenti che violano i doveri matrimoniali (come l’infedeltà), ma semplicemente ricondursi a fatti che materialmente o moralmente rendano la convivenza impossibile da continuare, come la classica incompatibilità tra caratteri fino ad arrivare a questioni più delicate come maltrattamenti o la decisione unilaterale d’interrompere una gravidanza.

Gli avvocati dello Studio legale Marzorati sono in grado di seguire casi in tutti Italia. Se hai bisogno di assistenza legale, o desideri fissare un appuntamento con uno dei nostri avvocati

SCRIVICI SENZA IMPEGNO Telefono