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Nuova convivenza nella casa familiare dopo la separazione o il divorzio | Conseguenze

Iniziare una nuova convivenza nella casa familiare dopo la separazione o il divorzio può comportare alcune importanti conseguenze. Mettiamo il caso in cui marito e moglie sono separati con la casa familiare che è stata assegnata alla moglie, collocataria dei figli. Precisiamo che la medesima disciplina potrebbe essere applicata in caso di divorzio già avvenuto.

Quando la nuova convivenza incide sull’assegnazione della casa

 

Prima di valutare di iniziare una nuova convivenza, sarebbe doveroso considerare quale effetto questa possa avere sui figli. Sono loro, infatti, a dover essere tutelati da ogni possibile fonte di turbamento.

In sostanza la nuova convivenza instaurata nella casa familiare non deve essere fonte di stress né deve risultare un elemento di disturbo per la crescita psicofisica dei figli. Quando questo non avviene la nuova convivenza non può, in linea generale, provocare la revoca dell’assegnazione dell’abitazione familiare.

La decisione con cui il giudice stabilisce l’assegnazione o la revoca, infatti, è sempre il frutto di una valutazione che mette in primo piano gli interessi della prole. Quindi, finché la casa familiare viene riconosciuta come il centro degli affetti e delle consuetudini per i figli, la revoca della casa non è (solitamente) prevista.

Una revoca dell’assegnazione potrebbe avvenire nei casi in cui – ad esempio – i figli maggiorenni, divenuti economicamente autonomi, decidessero di andare a vivere per conto proprio, oppure quando i minori frequentassero una scuola distante da casa, che imporrebbe il loro allontanamento dall’abitazione familiare. In pratica quando la casa non è più il nido, il porto sicuro, l’habitat naturale della prole.

Quando si corre il rischio di perdere l’assegno di mantenimento

 

Come detto, però, un rapporto stabile di convivenza può avere importanti conseguenza. Secondo le ultime interpretazioni della giurisprudenza la stabilità del nuovo legame può essere un motivo per “rivedere” l’assegno di mantenimento.

Chi è obbligato a versare l’assegno, infatti, facendo ricorso in Tribunale, potrebbe con ogni probabilità ottenere una diminuzione dell’importo previsto o addirittura la revoca totale dell’assegno.

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Coppia mista: ammessa la scelta di legge per separazione e divorzio

Nella separazione o nel divorzio di una coppia mista è ammessa la scelta della legge da applicare durante il giudizio in base a quanto disciplinato dal Regolamento UE 1259/10.

Spread, crisi greca, troika, emergenza profughi, sembra che l’Europa di cui tanto sentiamo parlare sia tutta qui. Al di là del populismo, diciamo una verità quando diciamo che siamo ancora distanti da quel modello ideale di Stati Uniti d’Europa che ci era stato fatto immaginare. Eppure l’Unione Europea non si limita a regolare cambi e borsa, ma anche molti settori della vita quotidiana di noi cittadini.

Da qualche anno, anche se un po’ in sordina, è entrato in vigore il predetto Regolamento n. 1259/10 che ha portato una grossa innovazione in tema di separazione e divorzio. Il regolamento è rivolto a quelle coppie miste ossia formate da marito e moglie di diverse nazionalità.

 

La norma è applicabile anche per moglie e marito che hanno vissuto in diverse parti del mondo e che, di fronte alla scelta di separarsi o di divorziare, avrebbero potuto incontrare difficoltà nella scelta della legge applicabile, o magari avrebbero dovuto affrontare spese e disagi dovuti allo svolgimento del procedimento in un paese diverso da quello di residenza.

Cosa prevede il regolamento 1259/2010

Il regolamento 1259/2010 lascia alla coppia la possibilità di scegliere la legge che vogliono applicare in caso di crisi coniugale in base a specifici criteri.

La coppia mista può scegliere di adottare la legge dello Stato dell’attuale residenza oppure quella dello Stato dell’ultima residenza comune, a patto che uno dei due vi risieda ancora.

In alternativa, la coppia può decidere di rifarsi alla legge dello Stato di cui sono cittadini o ancora alla legge del foro, cioè dello Stato dove si svolge il procedimento giudiziario.

Affinché tale decisione sia valida, è necessario che i coniugi firmino una dichiarazione che indichi la legge applicabile al fine di conoscere le conseguenze giuridiche e sociali cui vanno incontro facendo quella precisa scelta.

La dichiarazione dovrà essere fatta in qualsiasi momento dopo le nozze basta che sia precedente alla separazione o al divorzio.

Una simile libertà di scelta garantisce a marito e moglie molta autonomia e soprattutto risponde a esigenze pratiche, concrete. Prendiamo per esempio, due coniugi italiani residenti all’estero potranno chiedere la separazione davanti a un Giudice italiano, senza dover affrontare le difficoltà di un processo in terra straniera.

Ed, ancora, laddove la legge prescelta lo consenta, i coniugi potrebbero immediatamente divorziare senza dover prima separarsi come avviene in Italia o, ancora, potrebbero far valere gli accordi prematrimoniali, possibilità che da noi non è ancora ammessa.

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Come applicare la legge straniera alla separazione ed al divorzio in Italia anche se marito e moglie non sono d’accordo

Per marito e moglie che affrontano una separazione o un divorzio è possibile applicare la legge straniera anche se non sono d’accordo su quale normativa nazionale scegliere.

Prendiamo il caso di due coniugi, lui originario della Svizzera, lei italiana. Questi decidono, dopo il matrimonio, di trasferirsi nel paese di lui: migliori opportunità lavorative, salari più elevati, avvicinarsi alla famiglia del coniuge… sono solo alcuni motivi che li spingono a lasciare l’Italia.

Il legame, però, non si rivela duraturo e la moglie decide di lasciare il marito per tornare in Italia, vicino ad amici ed affetti.

In una simile situazione, e senza l’accordo con il marito, potrebbe essere molto complesso per la moglie avviare un processo di divorzio in Svizzera. I costi alti e le difficoltà linguistiche renderebbero difficile la gestione del procedimento, senza contare che l’avvio delle procedure sul territorio estero le richiederebbero inevitabilmente spostamenti periodici.

La moglie, quindi, perderebbe la possibilità di ottenere il divorzio senza dover prima passare dalla separazione, come ammesso dalla legge elvetica.

Il regolamento 1256/10, entrato in vigore da qualche anno in Unione Europea, però, permette di ottenere una via d’uscita facilitata in questi casi.

L’applicazione del regolamento 1259/2010 in caso di mancata scelta

In mancanza di un accordo tra i coniugi sulla separazione o sul divorzio, chi agisce per primo può scegliere sia dove iniziare la causa sia la legge applicabile.

Il regolamento prevede la possibilità di applicare la legge dello Stato in cui i due moglie e marito risiedono abitualmente o quella del Paese che è stato la loro ultima residenza comune, purché uno dei due vi risieda ancora.

Vi è anche una terza opzione che concede la possibilità di applicare la legge dello Stato di cittadinanza di marito e moglie. Se nessuna di queste tre opzioni può essere adottata, dovrà essere applicata la legge dello Stato dove si svolge il giudizio.

La moglie, quindi, potrà iniziare una causa in Italia applicando la legge Svizzera ottenendo subito il divorzio come previsto il quello Stato, che è quello dell’ultima residenza comune dei coniugi dato che il marito vi risiede ancora.

Attenzione però perché per poter scegliere la legge del Paese dell’ultima residenza abituale, non deve essere trascorso più di un anno da quando i due coniugi vi risiedevano insieme e l’inizio della causa.

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Limitazioni all’applicazione della legge straniera in Italia | Separazione e divorzio internazionale

In caso di separazione internazionale (o divorzio) esistono delle limitazioni all’applicazione della legge straniera in Italia.

La conoscenza di questa regola è essenziale, in modo particolare, da quando il Regolamento 1259/2010 consente alle coppie che vivono in un Paese diverso da quello di provenienza di poter scegliere quale legge applicare in caso di separazione o divorzio. Ciò, infatti, non risulta sempre possibile.

Limitazioni al Regolamento n. 1259/2010

Ipotizziamo che due coniugi siano originari di un paese in cui è concessa la poligamia e lì si sono sposati, con il marito giunto al terzo matrimonio.

Per varie ragioni la coppia si trasferisce in Italia, lasciando le altre mogli nel paese d’origine. Dopo qualche tempo la moglie inizia a frequentare un altro uomo, e dopo diversi mesi decide di rivelare al coniuge il suo tradimento e l’intenzione di chiedere il divorzio.

Per ragioni economiche e di tempo la moglie vorrebbe divorziare in Italia, senza tornare nel paese d’origine, ma la cosa potrebbe risultare più complessa del previsto.

Le norme di ordine pubblico sono prevalenti rispetto alla volontà delle parti

Per una forma di tutela dei principi e delle regole vigenti nei vari Stati dell’Unione Europea e per impedire che siano obbligati ad applicare norme straniere ritenute illegittime ed incompatibili con il diritto interno, il regolamento 1259/2010 prevede tre limiti che impediscono di usare la legge straniera.

Non si può applicare una legge straniera che non prevede il divorzio o lo prevede solo a condizioni discriminatorie per uno dei due coniugi. Si tratta di un limite che intende salvaguardare la parità di diritti tra uomo e donna, impedendo, ad esempio, che possa essere ammessa una legge che lasci al solo marito la possibilità di divorziare.

Il secondo limite prevede che la legge straniera non possa essere adottata se uno dei due Stati non riconosce il divorzio o se il matrimonio non è considerato valido. Pensiamo, ad esempio, al matrimonio omosessuale che non è ammesso in Italia: la richiesta di divorzio presentata da coniugi omosessuali, sposati all’estero, verrebbe rifiutata.

Il terzo limite del regolamento 1259/2010 è previsto nel caso in cui la legge straniera risulti in contrasto con le norme di ordine pubblico cioè con i principi fondamentali tipici di ciascuno stato.

Il matrimonio della coppia presa ad esempio non potrebbe avere validità nel nostro paese, perché non è ammessa la poligamia. Di conseguenza la domanda di divorzio verrebbe rigettata dal Tribunale perché riferita ad un matrimonio privo di effetti per la nostra legge. La coppia, quindi, sarebbe costretta a divorziare nel suo paese in origine.

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Separazione e divorzio di coniugi stranieri: il processo si può fare in Italia con legge estera

La separazione o il divorzio di moglie e marito stranieri che vivono in Italia può essere pronunciata a seguito di un processo svolto dinanzi al Tribunale italiano, con l’applicazione della legge estera dei coniugi.

Immaginiamo due coppie in piena crisi coniugale. La prima vive in Italia ma è composta da due cittadini stranieri; nella seconda i coniugi sono italiani ma risiedono da diversi anni all’estero. In entrambi i casi per capire dove dovrebbero svolgersi le cause di separazione o divorzio delle due coppie esistono delle regole.

Giurisdizione e legge applicabile: due concetti differenti

Prima di tutto dobbiamo chiarire che la giurisdizione individua lo Stato ed il Giudice dinanzi ai quali deve svolgersi la causa e non la legge che si dovrà applicare durante il processo.

Una causa che si svolge in Italia non vede necessariamente l’applicazione della legge italiana perché per individuarla esistono diversi criteri, anche la possibilità che i coniugi la scelgano da sé.

Per capire dove le due coppie potranno iniziare la loro causa, il primo criterio è quello della residenza abituale della coppia, intesa come il luogo dove si svolgono principalmente gli interessi e la vita dei coniugi.

L’altro criterio, cui è possibile ricorrere solo in seconda battuta, è quello della cittadinanza comune dei coniugi. In sostanza viene considerato prioritario il legame che i due coniugi instaurano con il Paese in cui abitano rispetto a quello con il Paese di cui sono cittadini.

Per comprendere il meccanismo sarebbe utile che facessimo qualche esempio. Un marito straniero, residente da almeno un anno in Italia, che deve separarsi della moglie, anch’essa straniera e residente in Italia, potrà fare la causa nel nostro paese avendo priorità la residenza abituale della coppia.

Ma anche la separazione di due coniugi cittadini italiani, residenti all’estero, in due Stati diversi, potrebbe svolgersi in Italia in funzione della loro comune cittadinanza, dato che la residenza abituale dei due non è la stessa.

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Divorzio all’estero ha valore anche in Italia | Riconoscimento sentenze straniere

Anche se otteniamo il divorzio all’estero possiamo farne rilevare il valore anche in Italia con la procedura di riconoscimento delle sentenze straniere.

Il mondo sempre più globalizzato garantisce rapporti economici, affettivi, commerciali o politici con diverse nazioni e comporta una velocizzazione dei legami personali e della burocrazia come della giustizia.

Per quanto riguarda quest’ultima, in particolar modo, è necessario che le decisioni dei Giudici siano, non solo più spedite, ma anche facilmente applicabili nei vari paesi.

Per rispondere a queste esigenze sono stati emanati dall’Unione Europea alcuni regolamenti che stabiliscono come ottenere il riconoscimento di una sentenza straniera.

Come ottenere il riconoscimento delle sentenze straniere

In linea generale in materia di separazione e di divorzio la sentenza straniera – opportunamente tradotta – viene trascritta immediatamente dagli ufficiali di Stato civile senza dover fare ulteriori passaggi.

Se, invece, c’è una contestazione sul riconoscimento è necessario attivare la procedura dinanzi alla Corte d’Appello competente in base al luogo di residenza. La stessa procedura deve essere azionata nel caso in cui la sentenza non abbia i requisiti formali previsti per il riconoscimento immediato.

Quando non è ammesso il riconoscimento automatico

 

Per capire in quali casi non viene permesso il riconoscimento immediato possiamo prendere l’esempio di una coppia mista, lei italiana e lui straniero, che dopo anni trascorsi in Italia decide di trasferirsi all’estero ma, poi, divorzia.

Se la moglie volesse tornare in Italia si troverebbe ancora ufficialmente “coniugata” quindi dovrebbe far trascrivere la sentenza straniera nei nostri registri di Stato civile.

Per il riconoscimento automatico è necessario che:

la competenza del Giudice che ha pronunciato la sentenza fosse esatta;

– durante il giudizio si siano rispettati i diritti di difesa di ambo le parti;

– gli effetti della sentenza non siano contrari alle norme di ordine pubblico interno.

Quindi non potrà essere riconosciuta la sentenza di divorzio ottenuta all’estero dal cittadino che ha ripudiato la propria moglie, né la sentenza ottenuta da un coniuge senza che sia stato comunicato all’altro l’inizio del procedimento.

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Legge Marocchina: divorzio su compenso (mahr) valido Marocco ma non in Italia

In Italia esiste un limite per l’applicazione della legge marocchina in tema di divorzio. In particolar modo il mahr, ossia il divorzio su compenso, è valido in Marocco ma non sarebbe applicabile nel nostro paese.

Poter applicare nei nostri Tribunali svariate leggi, tutte diverse, porta ad inevitabili momenti di raccordo e confronto tra i principi dei diversi paesi che si scontrano con i nostri.

Pensiamo ad una coppia marocchina che, dopo un iniziale periodo di convivenza in Marocco, si trasferisce in Italia con i tre figli. Quando l’amore tra loro si spegne, i due decidono di lasciarsi e chiedono che venga applicata nel procedimento processuale la legge in vigore in Marocco.

Lì la normativa prevede che la moglie alla fine del matrimonio possa avere dal marito una somma di denaro come pattuito al momento delle nozze.

Al momento di divorziare la moglie pretende quanto concordato ma il marito non vuole versare nulla. Vediamo cosa potrebbe succedere, in questo caso, all’atto del raccordo tra le leggi italiana e marocchina.

Il marh non trova applicazione nell’ordinamento italiano

Quello che abbiamo descritto è un tipico caso di mahr, che per il diritto marocchino è una somma di denaro simile alla nostra vecchia dote.

Si tratta di un compenso che viene pattuito prima del matrimonio e che deve essere versato alla moglie all’atto della separazione o del divorzio.

Tuttavia, questo passaggio di denaro non può essere ammesso in Italia in quanto contrario all’ordine pubblico, cioè in contrasto con i principi fondamentali del nostro ordinamento quale il principio di uguaglianza tra coniugi.

Questo filtro permette di non applicare nel nostro paese provvedimenti incompatibili con i nostri diritti fondamentali.

La coppia marocchina, ben potrà divorziare secondo la legge marocchina in Italia ma non vedrà l’applicazione del mahr e, quindi, per quanto riguarda i rapporti patrimoniali il Giudice applicherà la legge italiana.

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Divorzio senza ottenere la separazione: possibile in Svizzera

La Svizzera è uno dei tanti Stati in cui è consentito chiedere il divorzio senza obbligatoriamente passare per la separazione, contrariamente a quanto avviene in Italia, ed anche il procedimento è un po’ diverso dal nostro.

I tipi di divorzio in Svizzera

L’attuale diritto svizzero riconosce vari procedimenti di divorzio. Il primo è quello su richiesta comune. Riguarda ad esempio quelle coppie che concordemente decidono di porre fine al loro matrimonio. Marito e moglie presentano al Giudice un “contratto” completo che mira a regolare ogni rapporto tra i due, dall’aspetto patrimoniale agli eventuali accordi sull’affidamento dei figli. Tale convenzione dovrà essere esaminata dal Giudice, il quale potrà convocare i coniugi insieme, o separatamente, per assicurarsi la bontà dell’accordo così da ottenere l’omologazione e la pronuncia di divorzio.

Il secondo è quello su domanda unilaterale dopo due anni di vita separata. Ipotizziamo ad esempio che marito e moglie si trovino a dover affrontare una grave crisi coniugale. Litigi frequenti, scatenati dalle più futili motivazioni, inducono i due a prendersi una pausa di riflessione. Marito e moglie quindi interrompono la convivenza. Dopo due anni di distanza, la moglie, che nel frattempo ha conosciuto un altro uomo, si convince che la relazione è ormai giunta al capolinea e decide di chiedere il divorzio.

Se il marito rifiuta l’idea del divorzio la moglie può avanzare una richiesta unilaterale che darà inizio a un procedimento contenzioso, nel quale sarà il Giudice a stabilire tutte le condizioni.

La terza via è “ibrida”. Se i coniugi concordano sul voler divorziare ma sono in contrasto su alcuni punti (ad esempio, sull’assegnazione della casa coniugale) si è in presenza di un divorzio su richiesta comune con accordo parziale. In questo caso, a differenza del procedimento italiano, il Giudice analizzerà l’accordo, anche se circoscritto solo ad alcuni punti e, se ritenuto idoneo, lo omologherà, mentre continuerà la causa per gli aspetti ancora controversi.

La legge svizzera riconosce anche la possibilità di divorziare per rottura del vincolo coniugale quando, per motivi gravi vengono a mancare i presupposti per continuare il matrimonio. In questi casi è possibile ottenere il divorzio anche se non sono trascorsi due anni dalla fine della convivenza. Ciò vale ad esempio nei casi di molestie o di tradimento.

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Divorzio in Brasile: procedura veloce e possibile fuori dal Tribunale

In Brasile, come in molti altri paesi stranieri, è possibile ottenere il divorzio con una procedura veloce senza l’obbligo di recarsi in Tribunale.

La negoziazione assistita ed il divorzio dinanzi all’Ufficiale di stato civile, da poco introdotti in Italia, ci sono sembrati novità assolute, eppure come abbiamo detto in molti paesi esteri divorziare fuori dalle aule dei Tribunali è la prassi per ottenere pronunce veloci.

Chi fosse interessato ad ottenere il divorzio in Brasile, però, vorrebbe sicuramente avere la certezza che anche in Italia il divorzio venisse riconosciuto.

Sarebbe naturale, quindi, per un marito italiano avere dei dubbi sull’efficacia del procedimento di divorzio brasiliano così come prospettato dalla moglie carioca. Ma con la giusta informazione i dubbi potrebbero essere facilmente superati.

La riforma brasiliana sul divorzio consensuale

 

Nel 2011, il governo verdeoro ha notevolmente accorciato i tempi e le modalità per richiedere il divorzio.

Se non si hanno figli a carico e in presenza di un accordo tra marito e moglie, è possibile ottenere un divorzio immediato, mediante una procedura stragiudiziale. Per farlo i coniugi devono recarsi dinanzi ai cosiddetti Cartori Civili, figure assimilabili ai notai italiani, davanti ai quali ratificare gli accordi di divorzio.

Questa opzione consente ai coniugi di divorziare velocemente e in modo economico con un procedimento che, pur non essendo di natura giudiziale, produce gli stessi effetti di una sentenza del Tribunale.

Per questa ragione, è possibile ottenerne il riconoscimento anche in Italia: non è obbligatorio che il divorzio sia pronunciato da un Tribunale ma basta che l’atto ottenuto abbia gli effetti di una sentenza e certifichi la fine del matrimonio in modo irrevocabile.

Rivolgendosi alle figure opportune, quindi, anche se ci troviamo in uno stato straniero possiamo vedere tutelati i nostri diritti e fare in modo che, così come modificati, siano riconosciuti anche nel nostro paese.

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Le valutazioni del giudice sull’assegno di mantenimento

Con il divorzio, uno dei due coniugi potrebbe significativamente peggiorare le sue condizioni economiche. E’ proprio per tutelare la parte della coppia che viene colpita più pesantemente dal divorzio che il giudice può stabilire la corresponsione di un assegno di mantenimento.

Il presupposto per ottenerlo è che il coniuge richiedente non abbia i mezzi necessari per poter avere un tenore di vita adeguato a quello goduto durante il matrimonio, né deve avere la possibilità di procurarsi quei mezzi per ragioni oggettive, concrete e dimostrabili (età avanzata, malattia psico-fisica inconciliabile con l’attività lavorativa, necessità di occuparsi dei figli a tempo pieno ecc.). Le motivazioni che impediscono al coniuge di non poter provvedere autonomamente ai mezzi di sostentamento devono quindi essere verificabili.

La moglie che, ad esempio, divorziasse a 50/60 anni e che durante la vita coniugale avesse abbandonato il proprio percorso professionale per seguire la famiglia potrebbe avere diritto all’assegno di divorzio, in funzione dell’età avanzata e dell’abbondante tempo trascorso inoccupata.

L’assegno divorzile e le valutazioni del Giudice

E’ bene sottolineare che l’attribuzione dell’assegno non è un automatismo. Il coniuge che a causa del divorzio vedesse ridotte le sue entrate economiche non può, né deve, dare per scontato il riconoscimento di un assegno di mantenimento. Se è in età da lavoro e non vi sono ragioni fisiche, psicologiche o d’altra natura che impediscano lo svolgimento di una professione, il coniuge dovrà provvedere in modo autonomo al reperimento delle risorse per il suo mantenimento. Sarebbe opportuno quindi che chi ne faccia richiesta non si autoconvinca di poter vivere a spese dell’ex.

In caso di disoccupazione, ad esempio, il Giudice che deve valutare se il coniuge richiedente ha diritto all’assegno analizzerà la situazione nel suo contesto. Il coniuge a questo punto potrebbe dover dimostrare di essere alla ricerca di un lavoro ed essersi, ad esempio, iscritto alle liste di collocamento.

L’importanza del fattore socio-economico

Occorre però precisare che, nella sua valutazione, il Giudice dovrà tener conto anche di altri fattori, oltre alla capacità materiale di provvedere ai mezzi per il proprio sostentamento. Dovrà considerare la tipologia di lavoro del coniuge richiedente l’assegno. La moglie che, ad esempio, svolge impieghi saltuari potrebbe vedersi riconosciuto il diritto a un assegno di mantenimento proprio a causa del carattere precario di quell’attività.

Un ulteriore decisivo elemento è rappresentato dalle condizioni socio-economiche della coppia durante la vita coniugale. La possibilità di lavorare del coniuge richiedente deve essere collocata all’interno di una valutazione che consideri anche lo status sociale dei coniugi. Ad esempio, la moglie che durante il matrimonio ha goduto di una condotta di vita elevata grazie alla condizione agiata del marito, potrebbe ottenere un assegno divorzile perché non potrebbe essere costretta a svolgere un’attività lavorativa non consona al trascorso della coppia.

L’assegno di mantenimento ha quindi assunto una concezione “composita” per la determinazione del quale deve essere fatta una valutazione più armonica e comparativa delle rispettive condizioni economico-patrimoniali.

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Pro e contro dell’assegno divorzile una tantum

È innegabile che l’assegno divorzile una tantum rappresenti in prima battuta un esborso economico di un certo peso. Presuppone che ci sia una discreta liquidità, magari accumulata nel corso di diversi anni di lavoro. Tuttavia, quest’ipotesi potrebbe rivelarsi la più adatta in determinate circostanze.

Si consideri il caso in cui lei è un’imprenditrice di successo che sta meditando di espandere il suo business. Il marito, al contrario, si è sempre dimostrato poco concreto nella ricerca di un posto di lavoro al punto da non essere stato in grado di costruirsi nel tempo una discreta posizione economica. Durante il matrimonio ha sempre vissuto di rendita, grazie alla presenza e al supporto della moglie. All’atto del divorzio, l’ex moglie potrebbe temere che la corresponsione di un assegno periodico possa essere rischiosa. In futuro, infatti, il marito potrebbe chiedere degli aumenti, magari per approfittare dei successi professionali della ex o, se dovesse subire una diminuzione, dei propri redditi.

Una Tantum, differenze

A differenza dell’assegno periodico, quello una tantum sottrae automaticamente il coniuge che l’ha versato da eventuali domande di revisione. Il beneficiario, quindi – nel caso in analisi, il marito – non potrà un giorno avanzare nuove richieste economiche o modificare gli accordi raggiunti. Di fatto non potrà più richiedere alcuna somma ulteriore oltre a quella già ricevuta. Non solo: perderà anche il diritto alla sua quota di TFR, alla pensione di reversibilità e – in caso di morte – all’eventuale assegno a carico dell’eredità, unica eccezione sarebbe l’assegno alimentare.

D’altra parte, il coniuge beneficiario dell’assegno potrà incassare immediatamente una somma cospicua di denaro o altri trasferimenti patrimoniali, e nessuna vicenda personale potrà influire sull’accordo raggiunto. L’ex marito potrà insomma intraprendere una nuova convivenza o decidere di convolare a nozze con una nuova donna, senza che queste decisioni influiscano in alcun modo sulla somma già ricevuta.

Un profilo di attenzione relativo all’assegno una tantum riguarda la modificabilità da parte dell’obbligato. Se è vero infatti che questo non è revisionabile da parte del beneficiario, lo è invece per l’obbligato. Nel caso di un peggioramento delle sue condizioni economiche, infatti, il coniuge che ha versato l’assegno potrebbe richiedere una modifica delle condizioni di divorzio e reclamare a sua volta un assegno di mantenimento. È un aspetto che spesso viene trascurato, ma che è invece bene conoscere.

 Ciò che invece è del tutto precluso al coniuge che versa l’assegno una tantum è la possibilità di dedurlo dal reddito: quest’opzione resta valida solo e unicamente per gli assegni periodici. Complessivamente, quindi, quella dell’assegno una tantum rappresenta la soluzione più conveniente per il coniuge che dispone di una discreta somma di denaro perchè se nel breve termine rappresenta una spesa significativa, a lungo termine consente di evitare ogni possibile “rivendicazione” economica da parte dell’ex.

Si tratta in ogni caso di una scelta che deve essere concordata dai due coniugi e che deve sempre passare al vaglio del Giudice, il cui compito sarà stabilire se l’ammontare dell’assegno sia equo

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La quota di TFR che spetta all’ex

Quando si parla di diritti economici che permangono anche dopo il divorzio, oltre alla pensione di reversibilità ed all’assegno successorio, si deve ricomprendere anche la divisione del Trattamento di fine rapporto riscosso da uno dei due ex coniugi. L’ordinamento, infatti, prevede che l’ex coniuge del lavoratore abbia diritto ad ottenere una quota del TFR pari al 40% della somma maturata durante il matrimonio. Questa suddivisione viene spesso malvista da chi riceve il TFR faticosamente accumulato dopo anni di lavoro, quasi come se l’ex coniuge volesse appropriarsene ingiustamente. In realtà lo scopo che regge questa norma è quello di far suddividere la somma tra lavoratore e coniuge divorziato per “restituire” le  somme accantonate durante il matrimonio che sarebbero servite per soddisfare le esigenze della famiglia

Condizioni per accedere al TFR 

Perché il giudice riconosca al coniuge divorziato una quota di TFR è necessario che quest’ultimo non si sia risposato e sia titolare di un assegno di mantenimento periodico. Tuttavia, c’è un’ulteriore condizione che deve essere rispettata: la domanda per la quota di TFR deve essere presentata dopo la domanda di divorzio. I separati, quindi, non godono di questo diritto.

Ciò implica che se il TFR viene percepito prima della domanda di divorzio, l’ex coniuge non potrà beneficiarne.

Anticipazioni del TFR

Allo stesso modo, le anticipazioni del TFR che vengono percepite prima della domanda di divorzio sono inaccessibili all’ex.

Accade quindi piuttosto frequentemente che dopo la sentenza di separazione il titolare del TFR chieda delle anticipazioni. Spesso si utilizzano queste operazioni per andare a ridurre l’ammontare complessivo del trattamento di fine rapporto a cui il coniuge potrebbe accedere un domani, qualora decidesse di divorziare. E’ utile considerare, però, che la recente introduzione del divorzio breve, riducendo il periodo di separazione, va a diminuire i tempi utili per operare richieste di anticipi del TFR. Ciò significa che il coniuge titolare del TFR dovrà tenere conto delle nuove tempistiche per gestire queste iniziative.

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