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Tenore di vita reale e potenziale nella determinazione dell’assegno di mantenimento

L’assegno di mantenimento viene riconosciuto al coniuge che, per effetto del divorzio, si trova all’interno della coppia in una posizione di svantaggio economico. Avendo natura assistenziale, esso intende ripristinare un equilibrio tra le parti garantendo al coniuge economicamente più debole i mezzi necessari per poter godere di un tenore di vita analogo a quello avuto durante il matrimonio. Ma è bene soffermarsi con attenzione sul concetto di tenore di vita.

Ipotizziamo, ad esempio, che durante il rapporto coniugale marito e moglie abbiano sempre condotto una vita piuttosto modesta. Nonostante un lavoro importante in azienda e uno stipendio elevato per il marito ed un impiego part-time per la moglie, la famiglia ha scelto uno stile di vita semplice, moderato. Un’automobile utilitaria, poche cene al ristorante e solo in occasioni importanti, vacanze low-cost. Al momento della separazione o del divorzio il marito potrebbe proporre un assegno in linea con il modo di vivere passato. La moglie, però, ritiene di avere diritto ad una vita più brillante e meno sacrificata.

Il tenore di vita potenziale

 E’ bene sottolineare che, ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento, non ha rilievo il tenore di vita effettivamente goduto dai coniugi durante il matrimonio, ma il tenore di vita potenziale di cui i due avrebbero potuto godere. Nella fase di analisi delle posizioni economiche, quindi, il giudice analizzerà l’adeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente l’assegno in funzione delle potenzialità economiche reali di entrambi.

Ciò significa che la moglie potrà far affidamento su un assegno commisurato alle reali disponibilità economiche della coppia e non solo allo stile di vita dimesso e risparmioso mantenuto durante il matrimonio.

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Tasse e assegno di divorzio. Le quote che “fanno reddito”

Ai fini fiscali, è bene tener presente che l’assegno di mantenimento – se si tratta di un assegno periodico – è considerato al pari del reddito da lavoro dipendente. Quindi, la somma riconosciuta in fase di sentenza di divorzio al coniuge che si trova nella condizione di svantaggio economico è al lordo delle tasse. Questo significa che il netto che il coniuge beneficiario dell’assegno effettivamente percepirà sarà inferiore.

È evidente che, specularmente, il coniuge che corrisponde l’assegno all’ex può dedurlo dalle tasse. È necessario però che si tratti di assegni periodici; le somme corrisposte una tantum non sono infatti detraibili in fase di dichiarazione dei redditi.

L’assegno di mantenimento dei figli

In maniera del tutto differente vengono trattati a livello fiscale gli assegni destinati al mantenimento dei figli. Questi non possono essere dedotti dal reddito del coniuge che li versa e, di conseguenza, non sono inclusi nel reddito del coniuge che li riceve. Tutto ciò implica che, se la sentenza di divorzio ha previsto un unico assegno periodico che include sia il mantenimento del coniuge sia quello dei figli, solo la parte che spetta al coniuge deve essere inclusa nella dichiarazione dei redditi. Su questa il coniuge beneficiario vi pagherà le tasse, mentre il coniuge obbligato al versamento la potrà dedurre dal suo reddito.

Se si considerano entrambe la parti, il coniuge chiamato a corrispondere l’assegno è leggermente agevolato rispetto al beneficiario, in quanto grazie alla deducibilità fiscale dell’assegno andrà a pagare meno tasse.

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L’assegno di mantenimento tra separazione e divorzio

Capita spesso di vedere coppie in cui marito e moglie sono entrambi professionisti affermati. Ciascuno dispone di un patrimonio e di un reddito consistente che li rende autosufficienti ed economicamente indipendenti l’uno dall’altro. Durante la separazione, la loro posizione non subisce alcun contraccolpo, tant’è che nessuno dei due chiede un assegno di mantenimento. Tuttavia, nel corso dei mesi successivi alla sentenza di separazione, la condizione economica del marito precipita improvvisamente. Investimenti sbagliati e la perdita di qualche cliente importante lo hanno portato quasi sul lastrico.

Che cosa potrebbe accadere in sede di divorzio?

A causa dell’evidente peggioramento della sua condizione economica, il marito potrebbe avanzare la richiesta di un assegno divorzile, trovandosi in una posizione più debole rispetto alla moglie. Non esiste alcun legame di causa-effetto tra l’assegno di mantenimento riconosciuto dopo la separazione e quello eventualmente stabilito in sede di divorzio. Questo significa che, se durante la separazione nessuno dei coniugi ha chiesto un assegno di mantenimento, nulla vieterebbe che uno dei due ne faccia domanda durante la fase di divorzio, vedendosene riconosciuto il diritto. In altri termini, le decisioni assunte in sede di separazione non sono vincolanti per il Giudice del divorzio. Possono sì costituire un “punto di partenza” per la nuova valutazione, ma non necessariamente influenzano la sentenza divorzile.

La moglie, quindi, potrebbe vedersi costretta a versare al marito un assegno di mantenimento poiché, all’atto del divorzio, vanta una posizione economica più forte e stabile rispetto al marito.

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Aumentare l’assegno quando l’ex guadagna di più

La condizione necessaria perché un coniuge si veda riconosciuto il diritto all’assegno di mantenimento in sede di divorzio è il fatto che questi non abbia a disposizione i mezzi, né abbia la possibilità di procurarseli, per poter conservare il tenore di vita goduto (o quello potenziale di cui avrebbe potuto godere) durante il matrimonio. Se le condizioni economiche dell’ex coniuge chiamato a corrispondere l’assegno dovessero sensibilmente cambiare anche dopo il divorzio il beneficiario potrà, in linea di massima, ricorrere in Tribunale perché vi sia una revisione della somma precedentemente determinata.

Questo vale, ad esempio, nel caso in cui il marito – dipendente in azienda – ottenesse un miglioramento della propria condizione economica per effetto di una promozione. Si tratterebbe di un avanzamento naturale e prevedibile di un’attività lavorativa iniziata durante il matrimonio, ragione per cui l’ex potrebbe ottenere un aumento dell’assegno divorzile. Diverso invece sarebbe il caso in cui il miglioramento economico del marito dipendesse da altri fattori, come una vincita alla lotteria, un’eredità che lo rendesse unico proprietario di un grosso patrimonio o ancora un nuovo , e diverso, lavoro iniziato dopo la fine dell’unione.

La modifica non è automatica

Alla notizia del miglioramento delle condizioni dell’ex, la moglie, ingolosita dall’idea di poter ottenere un assegno di mantenimento più alto, potrebbe avanzare una richiesta di revisione degli accordi di divorzio. Tuttavia, il semplice fatto che il marito sia diventato molto più abbiente della moglie non rappresenta un presupposto per l’aumento automatico dell’assegno.

In linea generale, il divario delle condizioni economiche tra i due coniugi non costituisce la condizione sufficiente per ottenere l’assegno di mantenimento o modificarlo può, però, essere il presupposto per rivedere dinanzi al Giudice quanto stabilito in sede di divorzio e parametrarlo alla situazione attuale se ne ricorrono le condizioni.

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Beni e conti non dichiarati fanno correre rischi anche in caso di divorzio

Quante volte abbiamo assistito a casi in cui un coniuge, magari imprenditore o libero professionista, ha un giro d’affari piuttosto limitato ma, al contempo, risulta proprietario di beni o intestatario di conti corrente non dichiarati al fisco. In fase di divorzio, la moglie, che pretende di mantenere un tenore di vita simile a quello avuto durante il matrimonio potrebbe avanzare una richiesta di assegno divorzile elevata. Se ben consigliata, potrebbe avere interesse a far luce sulla reale condizione economica e patrimoniale del marito e ottenere una cifra più cospicua per il mantenimento.

Le dichiarazioni dei redditi non bastano

Per poter determinare l’entità dell’eventuale assegno post-matrimoniale, infatti, sono necessarie delle valutazioni sulla condizione economica dei due coniugi. Le due parti devono presentare davanti al giudice prove concrete del reddito e del patrimonio di cui dispongono. La dichiarazione dei redditi non è però l’unico punto di riferimento: il Giudice, specialmente se è portato a sospettare dell’esistenza di beni, conti o azioni e obbligazioni non dichiarate, potrebbe richiedere accertamenti fiscali anche mediante ispezioni della polizia tributaria. Non solo: è nelle sue facoltà la possibilità di esonerare la banca dall’obbligo del segreto bancario nel caso ritenga che l’interesse del singolo individuo o della banca stessa siano in contrasto con le esigenze della giustizia. In tal caso, la Banca sarebbe costretta a presentare in giudizio tutti quei documenti che riguardano il cliente e che sono necessari a chiarire i fatti.

E’ quindi bene considerare se la propria posizione fiscale presenti zone d’ombra poiché, con gli accertamenti e la procedura istruttoria in sede civile, vi è la concreta possibilità che l’effettivo stato patrimoniale venga correttamente individuato con il risultato non solo di dover dare un elevato assegno di mantenimento al coniuge, ma di subire indagini di polizia tributaria con le conseguenti implicazioni penali e fiscali.

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Come porre fine al matrimonio velocemente e “civilmente”: il divorzio congiunto

Una volta trascorso il tempo necessario dopo la separazione, marito e moglie possono decidere di divorziare. Si tratta di una fase che affrontano diverse coppie e che quindi, per quanto a volte difficile, in tanti avranno probabilmente già vissuto. Anche chi non sia esperto di questioni legali penserà, correttamente, che la cosa migliore sia raggiungere un accordo con la controparte, così da presentare una domanda di divorzio congiunto. Certo, non sarà sempre facile: ottenere un “buon” accordo non vuol dire trovarne uno, qualunque esso sia.

Non bisogna dimenticare poi che il divorzio costituisce un momento in cui si è spesso costretti a rivisitare il passato, magari infelice e doloroso. Se, quindi, con la separazione si era già vissuta una prima volta questa amara sensazione, adesso con il divorzio si potrebbe, nuovamente, doverla rivive. Riaprire vecchie ferite mai completamente rimarginate potrebbe rappresentare un momento decisamente stressante, soprattutto in presenza di figli.
I disagi crescono ancora di più se i rapporti tra i due coniugi sono rimasti altamente conflittuali e per nulla cordiali. Nonostante il tempo trascorso, l’altro coniuge potrebbe non darsi ancora pace. Ma anche entrambi potrebbero continuare a covare sentimenti di rancore o rabbia l’uno nei confronti dell’altro oppure il desiderio di rifarsi una vita, magari con altri partner, impedisce di vivere lucidamente la fine del matrimonio. Da non sottovalutare inoltre i contrasti che potrebbero nascere quando ci si deve accordare su questioni economiche o sulla gestione dei figli, quando presenti, che può risultare problematica, specie quando abbiamo di fronte un genitore poco collaborativo. E’ il caso, ad esempio, di padri che prima si prodigano a chiedere week end e giorni infrasettimanali per poi, all’ultimo minuto, disdire con varie ed improbabili scuse, o di genitori poco presenti, per non dire assenti. Ma anche di madri che nel giorno in cui i figli devono stare col papà, raccontano – immancabilmente e sistematicamente – che i bambini non possono andare perché ahimè si sono ammalati, hanno ancora i compiti da fare o sono stati invitati a gite, pranzi e festicciole varie.

Un accordo che riduce traumi e tempi

Di fronte a tutto questo, e molto altro ancora, potrebbe apparirci pressoché impossibile riuscire a venirne a capo con un accordo che possa soddisfare le esigenze di entrambi.

Eppure, quella del divorzio congiunto, sarebbe una soluzione che porterebbe vantaggi sia all’uno sia all’altro. Innanzitutto, permetterebbe un doppio risparmio, economico e di tempo, proprio perché, partendo da un accordo che considera le esigenze di entrambi i coniugi, aiuterebbe ad accorciare notevolmente le fasi più complesse di una normale causa di divorzio. Non solo: il divorzio congiunto potrebbe aiutare anche a ridurre l’impatto traumatico a livello emotivo e psicologico sui coniugi e soprattutto sui figli coinvolti. Si pensi all’impatto che possa avere una lunga ed estenuante battaglia legale sulla ex coppia o, dove presenti, sui figli. Tribunale, Giudici, udienze diventano termini di uso comune durante una causa di divorzio e talvolta proprio i figli possono essere coinvolti direttamente se viene richiesta la loro audizione.
In certi casi, poi, possono essere necessarie consulenze psicologiche, indagini contabili, il tutto si allunga ulteriormente quando invece questo potrebbe agevolmente essere evitato ricercando, responsabilmente e il prima possibile, un accordo per tutti vantaggioso. Anche il divorzio dunque deve essere affrontato con la dovuta attenzione. Nonostante le trattative possano non presentarsi semplici, aprire canali di comunicazione agevola il dialogo e questo potrebbe favorire un punto d’incontro.

La procedura per il divorzio congiunto

Per poter accedere al divorzio congiunto è necessario che i coniugi abbiamo raggiunto un accordo rispetto alle condizioni riguardanti i loro rapporti economici e, dove presenti, i figli e che presentino una domanda unica di divorzio.

Dopo il deposito del ricorso congiunto, il procedimento si svolge in un’unica udienza. In quella sede i Giudici verificheranno se gli accordi raggiunti sono adeguati e rispettano l’interesse dei minori. Nel caso in cui il Tribunale accettasse il ricorso congiunto, pronuncerà la sentenza di divorzio, altrimenti detta di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio. Il tutto in pochi mesi.

Facile affermare che per quanto possa essere difficile anche solo l’idea di riprendere i contatti e iniziare un dialogo con l’uomo o la donna da cui ci si è separati, trovare un accordo per procedere con una richiesta di divorzio congiunto può realmente aiutare tutti i componenti della famiglia a vivere in modo più sereno un momento della vita già di per sé complicato.

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Per il coniuge divorziato non vale il detto “finché morte non ci separi”

Spesso si evita di parlarne perché in fondo son pensieri che è meglio allontanare. Ma alcune volte dopo la fine di un matrimonio, dopo aver regolato tutti i rapporti, ci si trova a pensare a cosa succede se l’ex coniuge muore, o ancora a quali sono possano essere i diritti del coniuge divorziato rimasto in vita oppure cosa succede se nel frattempo l’ex coniuge si è risposato.

Con il divorzio, ex marito ed ex moglie sono a tutti gli effetti liberi di ricostruirsi una nuova vita. Ecco quindi che si materializza l’ipotesi che ciascuno dei due decida di rifarsi una famiglia. In questa eventualità subentrano quindi, all’interno delle dinamiche tra i due ex, nuove figure, con relativi diritti e doveri. Ma anche in presenza di eventuali nuovi compagni o figli nati in seconde nozze, è bene sottolineare che non vengono meno i diritti economici dell’ex coniuge.

Ad esempio, in questi casi l’ex coniuge mantiene il diritto all’assegno di mantenimento che potrebbe però essere revisionato. Alcuni diritti della prima moglie valgono sia finché l’ex marito è in vita, sia dopo la sua morte. Nel caso in cui l’ex venisse a mancare, per esempio, ha il diritto di chiedere una quota della pensione di reversibilità.

Pensione di reversibilità, presupposti

Il nostro ordinamento stabilisce che la pensione di reversibilità spetta, alla morte del lavoratore pensionato, ai suoi familiari tra i quali vengono ricomprese sia l’eventuale coniuge superstite sia l’ex.

Ci sono però due condizioni che l’ex coniuge deve rispettare per poter ottenere la pensione di reversibilità: non deve essersi risposato e deve essere titolare di un assegno di divorzio periodico.

Per quanto ostile o ingombrante possa sembrare, il coniuge divorziato continua ad avere un peso nella vita del proprio ex e della nuova eventuale famiglia. Il nuovo marito o la nuova moglie dell’ex non possono opporsi a che il coniuge divorziato percepisca la sua quota di pensione di reversibilità, qualora l’ex dovesse venire a mancare in quanto si tratta di un diritto riconosciuto a chi ha condiviso una parte di vita, più o meno duratura, con il defunto. Non si pensi ad una facile estromissione del coniuge divorziato, perché nel caso in cui venisse estromesso potrà citare in giudizio il nuovo coniuge al fine di vedersi riconosciuto il diritto a ricevere la propria quota.

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