Cosa sono le unioni civili e quali diritti e doveri nascono dalla loro celebrazione. Sono questi alcuni degli interrogativi più frequenti che sorgono dopo l’approvazione della Legge Cirinnà.
Precisiamo subito che l’unione civile è costituita da una coppia di persone dello stesso sesso, quindi da una coppia omosessuale, gay o lesbica.
COSTITUZIONE DELL’UNIONE CIVILE (come si costituiscono le unioni civili?)
Si costituisce attraverso una semplice dichiarazione all’Ufficiale di stato civile, alla presenza di due testimoni.
COGNOME COMUNE (con la dichiarazione di costituzione dell’unione civile è possibile cambiare cognome?)
I partner, con una dichiarazione all’Ufficiale di stato civile, possono anche stabilire se assumere, per la durata della loro unione, un cognome comune scegliendo tra i loro cognomi. La parte può anteporre o posporre al cognome comune il proprio cognome, se diverso.
REGIME PATRIMONIALE – COMUNIONE DEI BENI (qual è il regime patrimoniale delle unioni civili?)
Il regime patrimoniale ordinario è la comunione dei beni, a meno che le parti pattuiscano una diversa convenzione patrimoniale come la separazione dei beni. I partner in alternativa alla comunione potranno optare per la comunione convenzionale, potranno costituire un fondo patrimoniale o potranno condurre una impresa familiare.
OBBLIGHI RECIPROCI (quali sono gli obblighi nelle unioni civili?)
Dall’unione civile deriva:
l’obbligo reciproco di assistenza morale e materiale;
l’obbligo per entrambe le parti, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia;
l’obbligo di coabitazione;
l’obbligo di concordare l’indirizzo della vita familiare e di fissare la residenza comune.
A differenza di quanto previsto nel matrimonio, non c’è l’obbligo di fedeltà.
VITA FAMILIARE – RESIDENZA COMUNE (chi decide la residenza nelle unioni civili?)
Le parti concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza comune; a ciascuna delle parti spetta il potere di attuare l’indirizzo concordato.
SUCCESSIONE – EREDITA’ (nelle unioni civili il partner ha diritto all’eredità?)
Nell’unione civile il partner superstite è erede legittimo necessario, quindi succede al partner defunto anche in assenza di testamento e, per legge, ha diritto ad una quota dell’eredità di quest’ultimo. In caso di testamento, la legge prevede a favore del partner superstite una quota di legittima che non può essere violata dalle disposizioni testamentarie. Quando infatti la quota di legittima dovesse essere violata dal de cuius ossia del partner defunto, per effetto di atti di disposizione, o di donazioni, oppure in caso di testamento, il partner superstite potrà agire per il riconoscimento integrale della propria inviolabile quota di legittima.
SUCCESSIONE – PENSIONE DI REVERSIBILITA’ (nelle unioni civili il partner ha diritto alla pensione di reversibilità?)
Il partner superstite ha diritto alla pensione di reversibilità del partner lavoratore defunto. Qualora invece vi sia stato lo scioglimento dell’unione spetta la pensione di reversibilità solo se l’ex partner superstite già riceveva un assegno di mantenimento stabilito con lo scioglimento, e sempre che non si sposi o non costituisca una nuova unione civile o non inizi una effettiva e stabile convivenza more uxorio tale da dar vita ad una vera e propria famiglia di fatto.
SUCCESSIONE – TFR (nelle unioni civili il partner ha diritto al TFR?)
Il partner superstite ha diritto al TFR (Trattamento di Fine Rapporto) del partner lavoratore defunto.
SUCCESSIONE – CONTRATTO DI LOCAZIONE DELLA CASA (alla morte del partner, si può succedere nel contratto di affitto della casa?)
In caso di morte dell’intestatario del contratto di locazione (c.d. conduttore), il partner superstite subentra nel contatto di locazione della casa di residenza familiare.
SUCCESSIONE – DIRITTO DI ABITAZIONE DELLA CASA DI PROPRIETÀ (nelle unioni civili, alla morte del partner, si può continuare ad abitare la casa familiare?)
In caso di morte del proprietario, il partner superstite ha diritto di abitazione nella casa di residenza familiare.
ADOZIONI – FILIAZIONE (quando è possibile l’adozione nelle unioni civili?)
la legge sulla unione civile ha espressamente voluto tenere fuori il tema della filiazione: dall’adozione del figlio del partner (stepchild adoption), all’adozione legittimante (nazionale ed internazionale), alle altre modalità di procreazione medicalmente assistita.
Pur se nella legge sull’unione civile non è stato espressamente riconosciuto il diritto di poter adottare il figlio del partner (stepchild adoption), sarà comunque possibile chiedere al Tribunale di valutare il singolo caso concreto per verificare – nel primario interesse del figlio – se ci sono, o meno, i presupposti per l’adottabilità del figlio del partner.
SCIOGLIMENTO VELOCE (ossia il divorzio veloce nelle unioni civili senza passare dalla separazione)
Per incominciare la procedura di scioglimento dell’unione civile è necessario che le parti manifestano la volontà di scioglimento, con dichiarazione davanti all’Ufficiale dello stato civile. La dichiarazione può anche essere fatta disgiuntamente e, quindi, anche da uno solo dei due partner. Trascorsi tre mesi si può fare domanda di scioglimento, attraverso tre distinte modalità:
1) se vi è accordo, con un ricorso congiunto di entrambi i partner al Tribunale oppure, se non c’è accordo, con un ricorso giudiziale promosso da un solo partner al Tribunale contro l’altro e, in quest’ultimo caso, incomincerà una causa;
2) con la negoziazione assistita con due avvocati;
3) con un accordo sottoscritto davanti al Sindaco (Ufficiale di stato civile), con l’assistenza facoltativa di un avvocato, e a condizione però che non ci siano figli minorenni, o maggiorenni incapaci o portatori di un grave handicap, o economicamente non autosufficienti (salvo che non si tratti di figli di uno solo dei due partner).
MANTENIMENTO (nelle unioni civili si ha diritto ad un assegno di mantenimento?)
In caso di scioglimento dell’unione, il partner che versi in stato di bisogno e che non abbia la possibilità di provvedere autonomamente al suo mantenimento ha diritto di ricevere dall’altro partner un assegno. L’importo dell’assegno sarà determinato tenendo conto delle condizioni economiche di ciascuna delle parti.
Nuova convivenza nella casa familiare dopo la separazione o il divorzio | Conseguenze
Iniziare una nuova convivenza nella casa familiare dopo la separazione o il divorzio può comportare alcune importanti conseguenze. Mettiamo il caso in cui marito e moglie sono separati con la casa familiare che è stata assegnata alla moglie, collocataria dei figli. Precisiamo che la medesima disciplina potrebbe essere applicata in caso di divorzio già avvenuto.
Quando la nuova convivenza incide sull’assegnazione della casa
Prima di valutare di iniziare una nuova convivenza, sarebbe doveroso considerare quale effetto questa possa avere sui figli. Sono loro, infatti, a dover essere tutelati da ogni possibile fonte di turbamento.
In sostanza la nuova convivenza instaurata nella casa familiare non deve essere fonte di stress né deve risultare un elemento di disturbo per la crescita psicofisica dei figli. Quando questo non avviene la nuova convivenza non può, in linea generale, provocare la revoca dell’assegnazione dell’abitazione familiare.
La decisione con cui il giudice stabilisce l’assegnazione o la revoca, infatti, è sempre il frutto di una valutazione che mette in primo piano gli interessi della prole. Quindi, finché la casa familiare viene riconosciuta come il centro degli affetti e delle consuetudini per i figli, la revoca della casa non è (solitamente) prevista.
Una revoca dell’assegnazione potrebbe avvenire nei casi in cui – ad esempio – i figli maggiorenni, divenuti economicamente autonomi, decidessero di andare a vivere per conto proprio, oppure quando i minori frequentassero una scuola distante da casa, che imporrebbe il loro allontanamento dall’abitazione familiare. In pratica quando la casa non è più il nido, il porto sicuro, l’habitat naturale della prole.
Quando si corre il rischio di perdere l’assegno di mantenimento
Come detto, però, un rapporto stabile di convivenza può avere importanti conseguenza. Secondo le ultime interpretazioni della giurisprudenza la stabilità del nuovo legame può essere un motivo per “rivedere” l’assegno di mantenimento.
Chi è obbligato a versare l’assegno, infatti, facendo ricorso in Tribunale, potrebbe con ogni probabilità ottenere una diminuzione dell’importo previsto o addirittura la revoca totale dell’assegno.
Negoziazione assistita: rivoluzione in tema di separazione e divorzio se c’è accordo tra i coniugi
Una rivoluzione epocale: l’introduzione della negoziazione assistita permette ai coniugi che sono d’accordo di ottenere la separazione e il divorzio fuori dalle aule dei Tribunali.
La coppia che decide di separarsi o divorziare in maniera consensuale oggi ha a disposizione due nuove opzioni alternative a quella giudiziale: la negoziazione assistita con l’intervento degli avvocati o la dichiarazione davanti a un Ufficiale di Stato Civile, come ad esempio il Sindaco.
Entrambe le procedure evitano alla coppia di doversi recare in Tribunale e permettono di ridurre i tempi rispetto all’iter giudiziario.
La negoziazione assistita
La negoziazione assistita consiste in un accordo sottoscritto dai coniugi (la cosiddetta convenzione di negoziazione) tramite il quale la coppia che vuole separarsi o divorziare, assistita dai rispettivi avvocati, si può accordare sia sulle questioni patrimoniali (come ad esempio l’utilizzo della casa familiare o l’assegno di mantenimento) sia su quelle relative all’affidamento dei figli.
Una volta predisposta la convenzione, gli avvocati devono autenticare le firme, depositare il documento presso la Procura della Repubblica e attendere il nulla osta (o l’autorizzazione) del Procuratore.
La dichiarazione all’ufficiale di stato civile
In alternativa i coniugi possono decidere di dichiarare la volontà di separarsi o divorziare in presenza dell’Ufficiale di Stato civile del comune di residenza di uno dei due o del comune in cui è iscritto l’atto di matrimonio.
Questa seconda opzione può essere intrapresa anche senza ricorrere all’assistenza di un avvocato. Ci sono però due limitazioni da prendere in considerazione: la dichiarazione può essere scelta soltanto dalle coppie che non hanno figli minori, non autosufficienti o portatori di handicap e non prevede la possibilità di inserire nell’accordo disposizioni patrimoniali, come ad esempio l’assegno di mantenimento in unica soluzione o il trasferimento di beni immobili.
È permessa, invece, la pattuizione relativa all’assegno di mantenimento mensile in favore del coniuge.
Le nuove disposizioni sono entrate in vigore l’11 novembre 2014, da allora, però, sono iniziati alcuni problemi gestionali: da un lato le procure non erano pronte a gestire gli elevanti volumi di negoziazioni che sono state presentate e, dall’altro, anche i Comuni hanno avuto la difficoltà nell’attrezzare gli uffici preposti a raccogliere le dichiarazioni dei separandi e divorziandi. Si sono creati, quindi, ritardi e attese nelle evasioni delle procedure quasi più lunghi di quelli previsti per la fissazione delle udienze in Tribunale.
Il contratto di convivenza nelle convivenze di fatto regolamentate dopo la legge Cirinnà
Le convivenze di fatto sono state regolamentate con la legge Cirinnà che permette la redazione di un contratto di convivenza che regoli gli aspetti di preminente interesse. Vediamo di seguito le principali caratteristiche che potranno assumere questi contratti.
Con la mera convivenza di fatto non si instaura alcun regime patrimoniale né alcuna obbligazione tra i conviventi. Tuttavia quest’ultimi possono adesso disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza, in forma scritta a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata, o con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato.
Il contratto può contenere: l’indicazione della residenza; le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo; il regime patrimoniale della comunione dei beni come da codice civile.
Il regime patrimoniale scelto nel contratto di convivenza può essere modificato in qualunque momento. Il contratto di convivenza non può essere sottoposto a termine o condizione.
Il contratto di convivenza si risolve per: accordo delle parti; recesso unilaterale; matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed altra persona; morte di uno dei contraenti.
La risoluzione determina lo scioglimento della comunione dei beni, se prevista.
Diritti e doveri che nascono con una convivenza di fatto registrata | Cosa sono le convivenze di fatto registrate?
Il ddl Cirinnà ha previsto una regolamentazione per le convivenze di fatto registrate che sono costituite da una coppia di fatto composta da persone di sesso diverso (eterosessuale) o dello stesso sesso (omosessuale). La convivenza registrata fa sorgere specifici diritti e doveri in capo ai conviventi.
Si intendono per conviventi di fatto due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità, adozione, da matrimonio o unione civile.
COSTITUZIONE DELLA CONVIVENZA REGISTRATA (come si costituiscono le convivenze di fatto registrate?)
È sufficiente fare una dichiarazione all’Anagrafe della stabile convivenza.
DIRITTI NASCENTI DALLA CONVIVENZA REGISTRATA (quali sono i diritti del convivente in una convivenza di fatto registrata?)
I conviventi di fatto hanno gli stessi diritti spettanti al coniuge in caso di malattia o di ricovero, hanno diritto reciproco di visita, di assistenza e di accesso alle informazioni personali nonché gli stessi diritti spettanti al coniuge nei casi previsti dall’ordinamento penitenziario.
Qualora si abbia una casa di proprietà, in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Qualora si abbia, invece, una casa in affitto, nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente di fatto ha facoltà di succedergli nel contratto.
DIRITTI DEL CONVIVENTE NELL’ATTIVITÀ DI IMPRESA
Al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato. Il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato.
RAPPORTI PATRIMONIALI E CONTRATTO DI CONVIVENZA (qual è il regime patrimoniale nelle convivenze di fatto registrate?)
Con la convivenza di fatto registrata non si instaura alcun regime patrimoniale automatico, tuttavia i conviventi possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza, in forma scritta a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata, con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato.
Il contratto può contenere: l’indicazione della residenza; le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo; il regime patrimoniale della comunione dei beni come da codice civile. Il regime patrimoniale scelto nel contratto di convivenza può essere modificato in qualunque momento. Il contratto di convivenza non può essere sottoposto a termine o condizione.
SUCCESSIONE – DIRITTO DI ABITAZIONE DELLA CASA DI PROPRIETÀ (nelle convivenze di fatto registrate, alla morte del convivente, si può continuare ad abitare la casa familiare?)
In caso di morte del proprietario della casa di comune residenza, il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Ove nella stessa casa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni. Il diritto viene meno nel caso in cui il convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza o in caso si sposi o costituisca una unione civile o qualora inizi una nuova, effettiva e stabile convivenza more uxorio tale da dar vita ad una vera e propria nuova famiglia di fatto
SUCCESSIONE – CONTRATTO DI LOCAZIONE DELLA CASA (nelle convivenze di fatto registrate, alla morte del convivente, si può succedere nel contratto di affitto della casa?)
Nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente ha facoltà di succedergli nel contratto.
SUCCESSIONI – NIENTE EREDITA’ NÉ PENSIONE DI REVERSIBILITÀ’
Nelle unioni di fatto registrate, il partner superstite non ha diritto all’eredità del convivente defunto, fatte salve lecite disposizioni testamentarie, né la reversibilità della pensione.
Quali sono le cause impeditive per la costituzione dell’unione civile
Anche per la costituzione dell’unione civile esistono delle cause impeditive, cioè che vietano la celebrazione dell’unione alla coppia omosessuale. Sono cause impeditive per la costituzione di un’unione civile tra persone dello stesso sesso:
– il non avere uno o entrambi compiuto gli anni 18;
– la sussistenza per una delle parti di un vincolo matrimoniale o di altra unione civile tra persone dello stesso sesso. Del resto anche se immaginiamo per un momento cosa accade nel matrimonio, sappiamo che non è possibile sposarsi se prima non si è ottenuto il divorzio ossia non si è tornati liberi di stato;
– rapporti di affinità (l’affinità è il vincolo fra un partner ed i parenti dell’altro partner) o di parentela tra le parti. Per fare alcuni esempi, non è possibile – salvo circoscritti e limitatissimi casi in cui è possibile ottenere dal Tribunale la dispensa – costituire una unione civile con gli ascendenti e i discendenti in linea retta; i fratelli e le sorelle germani; lo zio e la nipote, la zia e il nipote; gli affini in linea retta; gli affini in linea collaterale in secondo grado;
– l’interdizione di una delle parti per infermità mentale;
– la condanna definitiva di un contraente per omicidio consumato o tentato nei confronti di chi sia coniugato o unito civilmente con l’altra parte.
La procedura per la costituzione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso è sospesa fino a quando non è pronunciata la sentenza di proscioglimento.
L’esistenza di una delle cause impeditive comporta la nullità dell’unione civile e comunque tra le cause di nullità operano anche tutte quelle previste dal codice civile per il matrimonio.
Cosa sono le unioni civili | Diritti e doveri che nascono dall’unione civile
Cosa sono le unioni civili e quali diritti e doveri nascono dalla loro celebrazione. Sono questi alcuni degli interrogativi più frequenti che sorgono dopo l’approvazione della Legge Cirinnà.
Precisiamo subito che l’unione civile è costituita da una coppia di persone dello stesso sesso, quindi da una coppia omosessuale, gay o lesbica.
COSTITUZIONE DELL’UNIONE CIVILE (come si costituiscono le unioni civili?)
Si costituisce attraverso una semplice dichiarazione all’Ufficiale di stato civile, alla presenza di due testimoni.
COGNOME COMUNE (con la dichiarazione di costituzione dell’unione civile è possibile cambiare cognome?)
I partner, con una dichiarazione all’Ufficiale di stato civile, possono anche stabilire se assumere, per la durata della loro unione, un cognome comune scegliendo tra i loro cognomi. La parte può anteporre o posporre al cognome comune il proprio cognome, se diverso.
REGIME PATRIMONIALE – COMUNIONE DEI BENI (qual è il regime patrimoniale delle unioni civili?)
Il regime patrimoniale ordinario è la comunione dei beni, a meno che le parti pattuiscano una diversa convenzione patrimoniale come la separazione dei beni. I partner in alternativa alla comunione potranno optare per la comunione convenzionale, potranno costituire un fondo patrimoniale o potranno condurre una impresa familiare.
OBBLIGHI RECIPROCI (quali sono gli obblighi nelle unioni civili?)
Dall’unione civile deriva:
l’obbligo reciproco di assistenza morale e materiale;
l’obbligo per entrambe le parti, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia;
l’obbligo di coabitazione;
l’obbligo di concordare l’indirizzo della vita familiare e di fissare la residenza comune.
A differenza di quanto previsto nel matrimonio, non c’è l’obbligo di fedeltà.
VITA FAMILIARE – RESIDENZA COMUNE (chi decide la residenza nelle unioni civili?)
Le parti concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza comune; a ciascuna delle parti spetta il potere di attuare l’indirizzo concordato.
SUCCESSIONE – EREDITA’ (nelle unioni civili il partner ha diritto all’eredità?)
Nell’unione civile il partner superstite è erede legittimo necessario, quindi succede al partner defunto anche in assenza di testamento e, per legge, ha diritto ad una quota dell’eredità di quest’ultimo. In caso di testamento, la legge prevede a favore del partner superstite una quota di legittima che non può essere violata dalle disposizioni testamentarie. Quando infatti la quota di legittima dovesse essere violata dal de cuius ossia del partner defunto, per effetto di atti di disposizione, o di donazioni, oppure in caso di testamento, il partner superstite potrà agire per il riconoscimento integrale della propria inviolabile quota di legittima.
SUCCESSIONE – PENSIONE DI REVERSIBILITA’ (nelle unioni civili il partner ha diritto alla pensione di reversibilità?)
Il partner superstite ha diritto alla pensione di reversibilità del partner lavoratore defunto. Qualora invece vi sia stato lo scioglimento dell’unione spetta la pensione di reversibilità solo se l’ex partner superstite già riceveva un assegno di mantenimento stabilito con lo scioglimento, e sempre che non si sposi o non costituisca una nuova unione civile o non inizi una effettiva e stabile convivenza more uxorio tale da dar vita ad una vera e propria famiglia di fatto.
SUCCESSIONE – TFR (nelle unioni civili il partner ha diritto al TFR?)
Il partner superstite ha diritto al TFR (Trattamento di Fine Rapporto) del partner lavoratore defunto.
SUCCESSIONE – CONTRATTO DI LOCAZIONE DELLA CASA (alla morte del partner, si può succedere nel contratto di affitto della casa?)
In caso di morte dell’intestatario del contratto di locazione (c.d. conduttore), il partner superstite subentra nel contatto di locazione della casa di residenza familiare.
SUCCESSIONE – DIRITTO DI ABITAZIONE DELLA CASA DI PROPRIETÀ (nelle unioni civili, alla morte del partner, si può continuare ad abitare la casa familiare?)
In caso di morte del proprietario, il partner superstite ha diritto di abitazione nella casa di residenza familiare.
ADOZIONI – FILIAZIONE (quando è possibile l’adozione nelle unioni civili?)
la legge sulla unione civile ha espressamente voluto tenere fuori il tema della filiazione: dall’adozione del figlio del partner (stepchild adoption), all’adozione legittimante (nazionale ed internazionale), alle altre modalità di procreazione medicalmente assistita.
Pur se nella legge sull’unione civile non è stato espressamente riconosciuto il diritto di poter adottare il figlio del partner (stepchild adoption), sarà comunque possibile chiedere al Tribunale di valutare il singolo caso concreto per verificare – nel primario interesse del figlio – se ci sono, o meno, i presupposti per l’adottabilità del figlio del partner.
SCIOGLIMENTO VELOCE (ossia il divorzio veloce nelle unioni civili senza passare dalla separazione)
Per incominciare la procedura di scioglimento dell’unione civile è necessario che le parti manifestano la volontà di scioglimento, con dichiarazione davanti all’Ufficiale dello stato civile. La dichiarazione può anche essere fatta disgiuntamente e, quindi, anche da uno solo dei due partner. Trascorsi tre mesi si può fare domanda di scioglimento, attraverso tre distinte modalità:
1) se vi è accordo, con un ricorso congiunto di entrambi i partner al Tribunale oppure, se non c’è accordo, con un ricorso giudiziale promosso da un solo partner al Tribunale contro l’altro e, in quest’ultimo caso, incomincerà una causa;
2) con la negoziazione assistita con due avvocati;
3) con un accordo sottoscritto davanti al Sindaco (Ufficiale di stato civile), con l’assistenza facoltativa di un avvocato, e a condizione però che non ci siano figli minorenni, o maggiorenni incapaci o portatori di un grave handicap, o economicamente non autosufficienti (salvo che non si tratti di figli di uno solo dei due partner).
MANTENIMENTO (nelle unioni civili si ha diritto ad un assegno di mantenimento?)
In caso di scioglimento dell’unione, il partner che versi in stato di bisogno e che non abbia la possibilità di provvedere autonomamente al suo mantenimento ha diritto di ricevere dall’altro partner un assegno. L’importo dell’assegno sarà determinato tenendo conto delle condizioni economiche di ciascuna delle parti.
Unione civile e matrimonio: uguaglianze e differenze
La legge che regolamenta l’unione civile ha stabilito che molti diritti tipici del matrimonio siano previsti anche per l’unione tra persone dello stesso sesso. Esistono molte uguaglianze ed alcune differenze tra i due istituti. Vediamo di riassumere i punti più importanti della Legge Cirinnà sul punto per fare chiarezza anche alle luce delle polemiche sorte negli ultimi mesi.
Uguaglianze
Moltissimi sono i punti di contatto tra unione civile e matrimonio, tanto che molti hanno inteso la normativa sulla unione civile come un vero e proprio matrimonio per coppie omosessuali. L’unione civile tuttavia si rivolge esclusivamente a persone dello stesso sesso mentre il matrimonio esclusivamente a persone eterosessuali.
Vi è una sostanziale equiparazione tra unione civile e matrimonio, ad esempio:
per i diritti (in caso di malattia o di ricovero, i partner hanno reciproco diritto di visita, di assistenza, nonché di di accesso alle informazioni personali ecc.);
per gli obblighi (obbligo reciproco di assistenza morale e materiale; obbligo per entrambe le parti, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia; obbligo di coabitazione; obbligo di concordare tra loro l’indirizzo della vita familiare e di fissare la residenza comune ecc.);
nei rapporti patrimoniali (comunione dei beni come regime patrimoniale ordinario con possibilità di optare per la separazione dei beni, per la comunione convenzionale o per la costituzione di un fondo patrimoniale; diritto al mantenimento; anche nelle successioni essendo, tra le altre, il partner superstite erede legittimo necessario quindi succede al partner anche in assenza di testamento e, per legge, ha diritto ad una quota dell’eredità di quest’ultimo. Ha diritto alla quota di legittima, che non può essere lesa, del partner defunto, per effetto di atti di disposizione, o di donazioni, oppure in caso di testamento; diritto al TFR e alla pensione di reversibilità ecc.);
nei rapporti con la pubblica amministrazione (diritto di visita in ospedale e in carcere; diritto a designarsi a vicenda per prendere decisioni in caso di malattia o in caso di morte, per esempio sulla donazione degli organi o per i funerali; trattamenti fiscali, assicurativi, graduatorie per alloggi e accesso ai servizi, assegni familiari, congedi lavorativi, aspettative, trasferimenti, welfare, ecc.);
nei rapporti privati (contratti di lavoro, di locazione, privacy ecc.);
nel risarcimento del danno in caso di decesso di una delle parti dell’unione civile derivante da fatto illecito (es. incidente stradale ecc.);
I medesimi diritti sono previsti anche per lo straniero che è unito civilmente a un altro straniero regolarmente residente in Italia, o a cittadino italiano (diritto al permesso di soggiorno; ricongiungimento familiare; carta di soggiorno per familiari di cittadini EU; richiesta della cittadinanza italiana ecc. il tutto secondo la normativa vigente).
Differenze
Tra unione civile e matrimonio vi sono anche alcune differenze, ad esempio:
Il matrimonio è costituito da una coppia di persone di sesso diverso e quindi da una coppia eterosessuale mentre l’unione civile da una coppia di persone di identico sesso e quindi da una coppia omosessuale.
Nell’unione civile, a differenza che nel matrimonio, non sono necessarie le pubblicazioni in Comune.
Le coppie omosessuali non possono unirsi civilmente se uno o entrambi siano minorenni ossia se non hanno compiuto 18 anni, mentre nelle coppie eterosessuali il minore che abbia compiuto i 16 anni può essere autorizzato dal Giudice a contrarre matrimonio, in genere se la donna è in stato di gravidanza.
Mentre nel matrimonio è previsto l’obbligo di fedeltà tra i coniugi, nell’unione civile non è previsto tale obbligo tra i partner.
Nell’unione civile, per ottenere lo scioglimento è necessario che siano trascorsi 3 mesi dalla dichiarazione – fatta all’Ufficiale dello stato civile da entrambi i partner, o anche da uno solo – di voler sciogliere l’unione. Lo scioglimento non avviene automaticamente ma per ottenere lo scioglimento dell’unione civile si dovrà, alternativamente, decidere se procedere con:
1) un ricorso congiunto al Tribunale (in caso di accordo già raggiunto da entrambi partner) oppure un ricorso giudiziale al Tribunale (in caso di disaccordo);
2) una negoziazione assistita con due avvocati (generalmente per essere aiutati a trovare un accordo);
3) un accordo sottoscritto davanti al Sindaco (Ufficiale di stato civile), con l’assistenza facoltativa di un avvocato, e a condizione però che non ci siano figli minorenni, o maggiorenni incapaci o portatori di un grave handicap, o economicamente non autosufficienti (salvo che non si tratti di figli di uno solo dei due partner).
Nel matrimonio, per ottenere il divorzio è necessario che siano trascorsi 6 mesi dalla separazione consensuale [o dalla negoziazione assistita con due avvocati o dall’accordo sottoscritto davanti al Sindaco (Ufficiale di stato civile)] o 12 mesi dalla separazione giudiziale.
Per chi è sposato esiste apposita normativa che consente l’adozione, ovviamente in presenza di determinate condizioni.
La legge sulla unione civile ha, invece, espressamente voluto tenere fuori il tema della filiazione: dall’adozione del figlio del partner (stepchild adoption), all’adozione legittimante (nazionale ed internazionale), alle altre modalità di procreazione medicalmente assistita.
Pur se se è stato espressamente previsto che all’unione civile non si applicano le norme sull’adozione e sull’affidamento dei minori, e quindi non viene riconosciuto, ad esempio, il diritto di poter adottare il figlio del partner (stepchild adoption), è stabilito che resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozioni, pertanto sarà possibile chiedere al Tribunale di valutare il singolo caso concreto per verificare – nel primario interesse del figlio – se ci sono, o meno, i presupposti per l’adottabilità del figlio del partner.
Divorzio in Brasile: procedura veloce e possibile fuori dal Tribunale
In Brasile, come in molti altri paesi stranieri, è possibile ottenere il divorzio con una procedura veloce senza l’obbligo di recarsi in Tribunale.
La negoziazione assistita ed il divorzio dinanzi all’Ufficiale di stato civile, da poco introdotti in Italia, ci sono sembrati novità assolute, eppure come abbiamo detto in molti paesi esteri divorziare fuori dalle aule dei Tribunali è la prassi per ottenere pronunce veloci.
Chi fosse interessato ad ottenere il divorzio in Brasile, però, vorrebbe sicuramente avere la certezza che anche in Italia il divorzio venisse riconosciuto.
Sarebbe naturale, quindi, per un marito italiano avere dei dubbi sull’efficacia del procedimento di divorzio brasiliano così come prospettato dalla moglie carioca. Ma con la giusta informazione i dubbi potrebbero essere facilmente superati.
La riforma brasiliana sul divorzio consensuale
Nel 2011, il governo verdeoro ha notevolmente accorciato i tempi e le modalità per richiedere il divorzio.
Se non si hanno figli a carico e in presenza di un accordo tra marito e moglie, è possibile ottenere un divorzio immediato, mediante una procedura stragiudiziale. Per farlo i coniugi devono recarsi dinanzi ai cosiddetti Cartori Civili, figure assimilabili ai notai italiani, davanti ai quali ratificare gli accordi di divorzio.
Questa opzione consente ai coniugi di divorziare velocemente e in modo economico con un procedimento che, pur non essendo di natura giudiziale, produce gli stessi effetti di una sentenza del Tribunale.
Per questa ragione, è possibile ottenerne il riconoscimento anche in Italia: non è obbligatorio che il divorzio sia pronunciato da un Tribunale ma basta che l’atto ottenuto abbia gli effetti di una sentenza e certifichi la fine del matrimonio in modo irrevocabile.
Rivolgendosi alle figure opportune, quindi, anche se ci troviamo in uno stato straniero possiamo vedere tutelati i nostri diritti e fare in modo che, così come modificati, siano riconosciuti anche nel nostro paese.
Divorzio senza ottenere la separazione: possibile in Svizzera
La Svizzera è uno dei tanti Stati in cui è consentito chiedere il divorzio senza obbligatoriamente passare per la separazione, contrariamente a quanto avviene in Italia, ed anche il procedimento è un po’ diverso dal nostro.
I tipi di divorzio in Svizzera
L’attuale diritto svizzero riconosce vari procedimenti di divorzio. Il primo è quello su richiesta comune. Riguarda ad esempio quelle coppie che concordemente decidono di porre fine al loro matrimonio. Marito e moglie presentano al Giudice un “contratto” completo che mira a regolare ogni rapporto tra i due, dall’aspetto patrimoniale agli eventuali accordi sull’affidamento dei figli. Tale convenzione dovrà essere esaminata dal Giudice, il quale potrà convocare i coniugi insieme, o separatamente, per assicurarsi la bontà dell’accordo così da ottenere l’omologazione e la pronuncia di divorzio.
Il secondo è quello su domanda unilaterale dopo due anni di vita separata. Ipotizziamo ad esempio che marito e moglie si trovino a dover affrontare una grave crisi coniugale. Litigi frequenti, scatenati dalle più futili motivazioni, inducono i due a prendersi una pausa di riflessione. Marito e moglie quindi interrompono la convivenza. Dopo due anni di distanza, la moglie, che nel frattempo ha conosciuto un altro uomo, si convince che la relazione è ormai giunta al capolinea e decide di chiedere il divorzio.
Se il marito rifiuta l’idea del divorzio la moglie può avanzare una richiesta unilaterale che darà inizio a un procedimento contenzioso, nel quale sarà il Giudice a stabilire tutte le condizioni.
La terza via è “ibrida”. Se i coniugi concordano sul voler divorziare ma sono in contrasto su alcuni punti (ad esempio, sull’assegnazione della casa coniugale) si è in presenza di un divorzio su richiesta comune con accordo parziale. In questo caso, a differenza del procedimento italiano, il Giudice analizzerà l’accordo, anche se circoscritto solo ad alcuni punti e, se ritenuto idoneo, lo omologherà, mentre continuerà la causa per gli aspetti ancora controversi.
La legge svizzera riconosce anche la possibilità di divorziare per rottura del vincolo coniugale quando, per motivi gravi vengono a mancare i presupposti per continuare il matrimonio. In questi casi è possibile ottenere il divorzio anche se non sono trascorsi due anni dalla fine della convivenza. Ciò vale ad esempio nei casi di molestie o di tradimento.
Legge Marocchina: divorzio su compenso (mahr) valido Marocco ma non in Italia
In Italia esiste un limite per l’applicazione della legge marocchina in tema di divorzio. In particolar modo il mahr, ossia il divorzio su compenso, è valido in Marocco ma non sarebbe applicabile nel nostro paese.
Poter applicare nei nostri Tribunali svariate leggi, tutte diverse, porta ad inevitabili momenti di raccordo e confronto tra i principi dei diversi paesi che si scontrano con i nostri.
Pensiamo ad una coppia marocchina che, dopo un iniziale periodo di convivenza in Marocco, si trasferisce in Italia con i tre figli. Quando l’amore tra loro si spegne, i due decidono di lasciarsi e chiedono che venga applicata nel procedimento processuale la legge in vigore in Marocco.
Lì la normativa prevede che la moglie alla fine del matrimonio possa avere dal marito una somma di denaro come pattuito al momento delle nozze.
Al momento di divorziare la moglie pretende quanto concordato ma il marito non vuole versare nulla. Vediamo cosa potrebbe succedere, in questo caso, all’atto del raccordo tra le leggi italiana e marocchina.
Il marh non trova applicazione nell’ordinamento italiano
Quello che abbiamo descritto è un tipico caso di mahr, che per il diritto marocchino è una somma di denaro simile alla nostra vecchia dote.
Si tratta di un compenso che viene pattuito prima del matrimonio e che deve essere versato alla moglie all’atto della separazione o del divorzio.
Tuttavia, questo passaggio di denaro non può essere ammesso in Italia in quanto contrario all’ordine pubblico, cioè in contrasto con i principi fondamentali del nostro ordinamento quale il principio di uguaglianza tra coniugi.
Questo filtro permette di non applicare nel nostro paese provvedimenti incompatibili con i nostri diritti fondamentali.
La coppia marocchina, ben potrà divorziare secondo la legge marocchina in Italia ma non vedrà l’applicazione del mahr e, quindi, per quanto riguarda i rapporti patrimoniali il Giudice applicherà la legge italiana.
Ricongiungimento familiare in Italia: ammesso in caso di Kafala islamica
La kafala è un istituto previsto dalla religione islamica assimilabile all’affidamento temporaneo previsto in Italia. Il nostro ordinamento ha ammesso che questo istituto posse essere fonte di diritto per ottenere un ricongiungimento familiare.
Senza timori né ipocrisie è inevitabile che l’incontro ed il percorso di una coppia mista sia più complicato di quello vissuto da due concittadini appartenenti allo stesso credo religioso.
Conciliare le distanze e le diverse culture oltre che la diversa religione spesso risulta complicato a causa di obblighi o diritti che in un paese sono riconosciuti e, magari, nell’altro no.
Pensiamo ad una coppia, lei italiana e lui marocchino, che al di là di tutti gli ostacoli decide di sposarsi. Lui in Marocco è affidatario di un bambino, in base alla kafala islamica, e vuole portarlo in Italia e far si che sia parte della famiglia.
Raccordare le leggi di due ordinamenti significa riconoscere diversi istituti giuridici
La kafala è uno strumento di protezione tipico dell’Islam, ed è riconosciuto anche a livello internazionale dalla Convenzione di New York. Prevede che i minori rimasti soli, perché orfani o abbandonati, possano essere affidati a terzi (non necessariamente parenti), i quali hanno l’obbligo dovere educarli, curarli e mantenerli secondo i valori dell’Islam.
Questo istituto non crea rapporti di filiazione né ulteriori vincoli tra minore e affidatario: il bambino non assume il cognome dell’affidatario e non acquista diritti ereditari. Per questo motivo dimostrare una parificazione allo stato di figlio per beneficiare dei diritti e dei privilegi che gli Stati riservano al rapporto genitore-figlio potrebbe risultare complicato. La kafala, quindi, è un istituto che giuridicamente non ha similitudini nei paesi occidentali.
La Kafala nella giurisprudenza italiana
Proprio per l’assenza di legami di filiazione tra l’affidatario ed il minore, nel caso in cui l’affidatario si trasferisse in un altro paese potrebbero esserci problemi per riuscire ad ottenere il ricongiungimento di tipo familiare.
La giurisprudenza italiana in questi ultimi anni, però, ha fornito risposte spesso favorevoli alle richieste di ricongiungimento riconoscendo che la Kafala possa fungere da presupposto per il ricongiungimento familiare, secondo i requisiti stabiliti dal Testo Unico sull’Immigrazione, consentendo agli affidatari in base a questo istituto, di poter far arrivare sul territorio italiano il minore.
Sulla base delle recenti decisioni dei Giudici, quindi, il marito affidatario del bambino e desideroso di portarlo in Italia, dovrebbe chiedere il visto per ricongiungimento al Consolato Italiano in Marocco e, in caso di rifiuto, potrebbe presentare ricorso al Tribunale italiano.
Divorzio all’estero ha valore anche in Italia | Riconoscimento sentenze straniere
Anche se otteniamo il divorzio all’estero possiamo farne rilevare il valore anche in Italia con la procedura di riconoscimento delle sentenze straniere.
Il mondo sempre più globalizzato garantisce rapporti economici, affettivi, commerciali o politici con diverse nazioni e comporta una velocizzazione dei legami personali e della burocrazia come della giustizia.
Per quanto riguarda quest’ultima, in particolar modo, è necessario che le decisioni dei Giudici siano, non solo più spedite, ma anche facilmente applicabili nei vari paesi.
Per rispondere a queste esigenze sono stati emanati dall’Unione Europea alcuni regolamenti che stabiliscono come ottenere il riconoscimento di una sentenza straniera.
Come ottenere il riconoscimento delle sentenze straniere
In linea generale in materia di separazione e di divorzio la sentenza straniera – opportunamente tradotta – viene trascritta immediatamente dagli ufficiali di Stato civile senza dover fare ulteriori passaggi.
Se, invece, c’è una contestazione sul riconoscimento è necessario attivare la procedura dinanzi alla Corte d’Appello competente in base al luogo di residenza. La stessa procedura deve essere azionata nel caso in cui la sentenza non abbia i requisiti formali previsti per il riconoscimento immediato.
Quando non è ammesso il riconoscimento automatico
Per capire in quali casi non viene permesso il riconoscimento immediato possiamo prendere l’esempio di una coppia mista, lei italiana e lui straniero, che dopo anni trascorsi in Italia decide di trasferirsi all’estero ma, poi, divorzia.
Se la moglie volesse tornare in Italia si troverebbe ancora ufficialmente “coniugata” quindi dovrebbe far trascrivere la sentenza straniera nei nostri registri di Stato civile.
Per il riconoscimento automatico è necessario che:
– la competenza del Giudice che ha pronunciato la sentenza fosse esatta;
– durante il giudizio si siano rispettati i diritti di difesa di ambo le parti;
– gli effetti della sentenza non siano contrari alle norme di ordine pubblico interno.
Quindi non potrà essere riconosciuta la sentenza di divorzio ottenuta all’estero dal cittadino che ha ripudiato la propria moglie, né la sentenza ottenuta da un coniuge senza che sia stato comunicato all’altro l’inizio del procedimento.