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Il divorzio in caso di una condanna penale

La cronaca nera ha spesso sconvolto per la crudeltà di eventi – omicidi, estorsioni, rapimenti – compiuti dal classico “uomo della porta accanto”. Una vita regolare, una famiglia come tante. Nulla sembrerebbe giustificare il gesto estremo. L’insospettabile diviene d’un tratto il mostro. Piccoli paesi fino a quel momento pressoché sconosciuti piombano improvvisamente sulle prime pagine dei quotidiani e nei titoli di testa dei TG nazionali. Le indagini diventano a tutti gli effetti un fatto mediatico, la tragedia viene spettacolarizzata. Il diritto di cronaca finisce per lasciar spazio ad approfondimenti che possono alimentare la morbosa curiosità del pubblico. La volontà di far luce sui fatti si tramuta in un’ossessiva ricerca di particolari anche scabrosi. La vita privata dell’individuo – colpevole o presunto tale – diventa di pubblico dominio, così come quella della sua famiglia.

Ed è proprio della famiglia che troppo spesso ci si dimentica. Mogli (e figli) finiscono travolti insieme sotto il peso schiacciante dei riflettori, privati del loro diritto ad affrontare il dramma al riparo dal facile giudizio altrui. A questo si deve aggiungere poi il trauma della drammatica presa di coscienza della reale natura dell’uomo che si aveva accanto. Quello con cui si è deciso di condividere il resto della propria vita – magari mettendo su famiglia – rivela tutto d’un tratto un lato nascosto, oscuro, malvagio, pericoloso.

Divorziare subito per voltare pagina

Per chi si trova in queste situazioni è possibile ottenere il divorzio senza dover passare dalla precedente fase di separazione, anche contro il volere dell’altro coniuge. Questa possibilità è applicabile unicamente nei casi di una condanna all’ergastolo o alla reclusione superiore ai 15 anni per reati non colposi. Il superamento della soglia dei 15 anni può derivare anche dalla somma di condanne relative a più crimini e contenute in più sentenze, pronunciate anche da giudici stranieri – purché si tratti di fatti penalmente rilevanti nell’ordinamento italiano. Fanno eccezione unicamente i reati politici e quelli commessi per motivi di valore morale o sociale. Certamente non si può pensare che un divorzio faccia dimenticare simili esperienze, ma può essere un modo per iniziare a voltare pagina.

Gli avvocati dello Studio legale Marzorati sono in grado di seguire casi in tutti Italia. Se hai bisogno di assistenza legale, o desideri fissare un appuntamento con uno dei nostri avvocati

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Il TFR alla morte del lavoratore. La concorrenza tra l’ex ed il nuovo coniuge

Un divorzio, l’incontro con un nuovo amore  un nuovo matrimonio. La creazione di una nuova famiglia è un desiderio naturale che nasce in moltissimi divorziati, ma può creare scompiglio negli equilibri raggiunti con l’ex coniuge. All’impatto emotivo spesso possono aggiungersi problemi patrimoniali.

Se il coniuge che si è risposato viene a mancare, poi, potrebbe di fatto innescarsi una contesa a distanza tra le due famiglie della persona defunta per la divisione dell’eredità.

Chiariamo subito che l’ex coniuge, fin da dopo il divorzio, non potrà essere ricompreso tra gli eredi legittimi di chi è scomparso. Questo non significa, però, che perda ogni tipo di diritto economico.

Così come avviene quando il lavoratore è ancora in vita, l’Ordinamento prevede che il coniuge divorziato riceva una quota del Trattamento di fine rapporto liquidato dopo la morte dell’ex.

La distribuzione del TFR tra i soggetti aventi diritto

Per ottenere questo beneficio il coniuge divorziato deve essere titolare di un assegno di mantenimento periodico.

La quota viene stabilita tenendo in considerazione tutte le persone che ne hanno diritto: il coniuge superstite, il coniuge divorziato, gli eventuali figli del lavoratore defunto o altri parenti a suo carico. Di fatto, il coniuge superstite dovrà dividere la sua quota di TFR con il coniuge divorziato.

Nel caso in cui l’ex coniuge si vedesse negare questo diritto da parte della nuova famiglia dell’ex questi ben potrà citare in giudizio tutti gli eredi. A quel punto, sarà il giudice a provvedere alla giusta suddivisione.

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La quota di TFR che spetta all’ex

Quando si parla di diritti economici che permangono anche dopo il divorzio, oltre alla pensione di reversibilità ed all’assegno successorio, si deve ricomprendere anche la divisione del Trattamento di fine rapporto riscosso da uno dei due ex coniugi. L’ordinamento, infatti, prevede che l’ex coniuge del lavoratore abbia diritto ad ottenere una quota del TFR pari al 40% della somma maturata durante il matrimonio. Questa suddivisione viene spesso malvista da chi riceve il TFR faticosamente accumulato dopo anni di lavoro, quasi come se l’ex coniuge volesse appropriarsene ingiustamente. In realtà lo scopo che regge questa norma è quello di far suddividere la somma tra lavoratore e coniuge divorziato per “restituire” le  somme accantonate durante il matrimonio che sarebbero servite per soddisfare le esigenze della famiglia

Condizioni per accedere al TFR 

Perché il giudice riconosca al coniuge divorziato una quota di TFR è necessario che quest’ultimo non si sia risposato e sia titolare di un assegno di mantenimento periodico. Tuttavia, c’è un’ulteriore condizione che deve essere rispettata: la domanda per la quota di TFR deve essere presentata dopo la domanda di divorzio. I separati, quindi, non godono di questo diritto.

Ciò implica che se il TFR viene percepito prima della domanda di divorzio, l’ex coniuge non potrà beneficiarne.

Anticipazioni del TFR

Allo stesso modo, le anticipazioni del TFR che vengono percepite prima della domanda di divorzio sono inaccessibili all’ex.

Accade quindi piuttosto frequentemente che dopo la sentenza di separazione il titolare del TFR chieda delle anticipazioni. Spesso si utilizzano queste operazioni per andare a ridurre l’ammontare complessivo del trattamento di fine rapporto a cui il coniuge potrebbe accedere un domani, qualora decidesse di divorziare. E’ utile considerare, però, che la recente introduzione del divorzio breve, riducendo il periodo di separazione, va a diminuire i tempi utili per operare richieste di anticipi del TFR. Ciò significa che il coniuge titolare del TFR dovrà tenere conto delle nuove tempistiche per gestire queste iniziative.

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Per il coniuge divorziato non vale il detto “finché morte non ci separi”

Spesso si evita di parlarne perché in fondo son pensieri che è meglio allontanare. Ma alcune volte dopo la fine di un matrimonio, dopo aver regolato tutti i rapporti, ci si trova a pensare a cosa succede se l’ex coniuge muore, o ancora a quali sono possano essere i diritti del coniuge divorziato rimasto in vita oppure cosa succede se nel frattempo l’ex coniuge si è risposato.

Con il divorzio, ex marito ed ex moglie sono a tutti gli effetti liberi di ricostruirsi una nuova vita. Ecco quindi che si materializza l’ipotesi che ciascuno dei due decida di rifarsi una famiglia. In questa eventualità subentrano quindi, all’interno delle dinamiche tra i due ex, nuove figure, con relativi diritti e doveri. Ma anche in presenza di eventuali nuovi compagni o figli nati in seconde nozze, è bene sottolineare che non vengono meno i diritti economici dell’ex coniuge.

Ad esempio, in questi casi l’ex coniuge mantiene il diritto all’assegno di mantenimento che potrebbe però essere revisionato. Alcuni diritti della prima moglie valgono sia finché l’ex marito è in vita, sia dopo la sua morte. Nel caso in cui l’ex venisse a mancare, per esempio, ha il diritto di chiedere una quota della pensione di reversibilità.

Pensione di reversibilità, presupposti

Il nostro ordinamento stabilisce che la pensione di reversibilità spetta, alla morte del lavoratore pensionato, ai suoi familiari tra i quali vengono ricomprese sia l’eventuale coniuge superstite sia l’ex.

Ci sono però due condizioni che l’ex coniuge deve rispettare per poter ottenere la pensione di reversibilità: non deve essersi risposato e deve essere titolare di un assegno di divorzio periodico.

Per quanto ostile o ingombrante possa sembrare, il coniuge divorziato continua ad avere un peso nella vita del proprio ex e della nuova eventuale famiglia. Il nuovo marito o la nuova moglie dell’ex non possono opporsi a che il coniuge divorziato percepisca la sua quota di pensione di reversibilità, qualora l’ex dovesse venire a mancare in quanto si tratta di un diritto riconosciuto a chi ha condiviso una parte di vita, più o meno duratura, con il defunto. Non si pensi ad una facile estromissione del coniuge divorziato, perché nel caso in cui venisse estromesso potrà citare in giudizio il nuovo coniuge al fine di vedersi riconosciuto il diritto a ricevere la propria quota.

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Come porre fine al matrimonio velocemente e “civilmente”: il divorzio congiunto

Una volta trascorso il tempo necessario dopo la separazione, marito e moglie possono decidere di divorziare. Si tratta di una fase che affrontano diverse coppie e che quindi, per quanto a volte difficile, in tanti avranno probabilmente già vissuto. Anche chi non sia esperto di questioni legali penserà, correttamente, che la cosa migliore sia raggiungere un accordo con la controparte, così da presentare una domanda di divorzio congiunto. Certo, non sarà sempre facile: ottenere un “buon” accordo non vuol dire trovarne uno, qualunque esso sia.

Non bisogna dimenticare poi che il divorzio costituisce un momento in cui si è spesso costretti a rivisitare il passato, magari infelice e doloroso. Se, quindi, con la separazione si era già vissuta una prima volta questa amara sensazione, adesso con il divorzio si potrebbe, nuovamente, doverla rivive. Riaprire vecchie ferite mai completamente rimarginate potrebbe rappresentare un momento decisamente stressante, soprattutto in presenza di figli.
I disagi crescono ancora di più se i rapporti tra i due coniugi sono rimasti altamente conflittuali e per nulla cordiali. Nonostante il tempo trascorso, l’altro coniuge potrebbe non darsi ancora pace. Ma anche entrambi potrebbero continuare a covare sentimenti di rancore o rabbia l’uno nei confronti dell’altro oppure il desiderio di rifarsi una vita, magari con altri partner, impedisce di vivere lucidamente la fine del matrimonio. Da non sottovalutare inoltre i contrasti che potrebbero nascere quando ci si deve accordare su questioni economiche o sulla gestione dei figli, quando presenti, che può risultare problematica, specie quando abbiamo di fronte un genitore poco collaborativo. E’ il caso, ad esempio, di padri che prima si prodigano a chiedere week end e giorni infrasettimanali per poi, all’ultimo minuto, disdire con varie ed improbabili scuse, o di genitori poco presenti, per non dire assenti. Ma anche di madri che nel giorno in cui i figli devono stare col papà, raccontano – immancabilmente e sistematicamente – che i bambini non possono andare perché ahimè si sono ammalati, hanno ancora i compiti da fare o sono stati invitati a gite, pranzi e festicciole varie.

Un accordo che riduce traumi e tempi

Di fronte a tutto questo, e molto altro ancora, potrebbe apparirci pressoché impossibile riuscire a venirne a capo con un accordo che possa soddisfare le esigenze di entrambi.

Eppure, quella del divorzio congiunto, sarebbe una soluzione che porterebbe vantaggi sia all’uno sia all’altro. Innanzitutto, permetterebbe un doppio risparmio, economico e di tempo, proprio perché, partendo da un accordo che considera le esigenze di entrambi i coniugi, aiuterebbe ad accorciare notevolmente le fasi più complesse di una normale causa di divorzio. Non solo: il divorzio congiunto potrebbe aiutare anche a ridurre l’impatto traumatico a livello emotivo e psicologico sui coniugi e soprattutto sui figli coinvolti. Si pensi all’impatto che possa avere una lunga ed estenuante battaglia legale sulla ex coppia o, dove presenti, sui figli. Tribunale, Giudici, udienze diventano termini di uso comune durante una causa di divorzio e talvolta proprio i figli possono essere coinvolti direttamente se viene richiesta la loro audizione.
In certi casi, poi, possono essere necessarie consulenze psicologiche, indagini contabili, il tutto si allunga ulteriormente quando invece questo potrebbe agevolmente essere evitato ricercando, responsabilmente e il prima possibile, un accordo per tutti vantaggioso. Anche il divorzio dunque deve essere affrontato con la dovuta attenzione. Nonostante le trattative possano non presentarsi semplici, aprire canali di comunicazione agevola il dialogo e questo potrebbe favorire un punto d’incontro.

La procedura per il divorzio congiunto

Per poter accedere al divorzio congiunto è necessario che i coniugi abbiamo raggiunto un accordo rispetto alle condizioni riguardanti i loro rapporti economici e, dove presenti, i figli e che presentino una domanda unica di divorzio.

Dopo il deposito del ricorso congiunto, il procedimento si svolge in un’unica udienza. In quella sede i Giudici verificheranno se gli accordi raggiunti sono adeguati e rispettano l’interesse dei minori. Nel caso in cui il Tribunale accettasse il ricorso congiunto, pronuncerà la sentenza di divorzio, altrimenti detta di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio. Il tutto in pochi mesi.

Facile affermare che per quanto possa essere difficile anche solo l’idea di riprendere i contatti e iniziare un dialogo con l’uomo o la donna da cui ci si è separati, trovare un accordo per procedere con una richiesta di divorzio congiunto può realmente aiutare tutti i componenti della famiglia a vivere in modo più sereno un momento della vita già di per sé complicato.

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