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Beni e conti non dichiarati fanno correre rischi anche in caso di divorzio

Quante volte abbiamo assistito a casi in cui un coniuge, magari imprenditore o libero professionista, ha un giro d’affari piuttosto limitato ma, al contempo, risulta proprietario di beni o intestatario di conti corrente non dichiarati al fisco. In fase di divorzio, la moglie, che pretende di mantenere un tenore di vita simile a quello avuto durante il matrimonio potrebbe avanzare una richiesta di assegno divorzile elevata. Se ben consigliata, potrebbe avere interesse a far luce sulla reale condizione economica e patrimoniale del marito e ottenere una cifra più cospicua per il mantenimento.

Le dichiarazioni dei redditi non bastano

Per poter determinare l’entità dell’eventuale assegno post-matrimoniale, infatti, sono necessarie delle valutazioni sulla condizione economica dei due coniugi. Le due parti devono presentare davanti al giudice prove concrete del reddito e del patrimonio di cui dispongono. La dichiarazione dei redditi non è però l’unico punto di riferimento: il Giudice, specialmente se è portato a sospettare dell’esistenza di beni, conti o azioni e obbligazioni non dichiarate, potrebbe richiedere accertamenti fiscali anche mediante ispezioni della polizia tributaria. Non solo: è nelle sue facoltà la possibilità di esonerare la banca dall’obbligo del segreto bancario nel caso ritenga che l’interesse del singolo individuo o della banca stessa siano in contrasto con le esigenze della giustizia. In tal caso, la Banca sarebbe costretta a presentare in giudizio tutti quei documenti che riguardano il cliente e che sono necessari a chiarire i fatti.

E’ quindi bene considerare se la propria posizione fiscale presenti zone d’ombra poiché, con gli accertamenti e la procedura istruttoria in sede civile, vi è la concreta possibilità che l’effettivo stato patrimoniale venga correttamente individuato con il risultato non solo di dover dare un elevato assegno di mantenimento al coniuge, ma di subire indagini di polizia tributaria con le conseguenti implicazioni penali e fiscali.

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Aumentare l’assegno quando l’ex guadagna di più

La condizione necessaria perché un coniuge si veda riconosciuto il diritto all’assegno di mantenimento in sede di divorzio è il fatto che questi non abbia a disposizione i mezzi, né abbia la possibilità di procurarseli, per poter conservare il tenore di vita goduto (o quello potenziale di cui avrebbe potuto godere) durante il matrimonio. Se le condizioni economiche dell’ex coniuge chiamato a corrispondere l’assegno dovessero sensibilmente cambiare anche dopo il divorzio il beneficiario potrà, in linea di massima, ricorrere in Tribunale perché vi sia una revisione della somma precedentemente determinata.

Questo vale, ad esempio, nel caso in cui il marito – dipendente in azienda – ottenesse un miglioramento della propria condizione economica per effetto di una promozione. Si tratterebbe di un avanzamento naturale e prevedibile di un’attività lavorativa iniziata durante il matrimonio, ragione per cui l’ex potrebbe ottenere un aumento dell’assegno divorzile. Diverso invece sarebbe il caso in cui il miglioramento economico del marito dipendesse da altri fattori, come una vincita alla lotteria, un’eredità che lo rendesse unico proprietario di un grosso patrimonio o ancora un nuovo , e diverso, lavoro iniziato dopo la fine dell’unione.

La modifica non è automatica

Alla notizia del miglioramento delle condizioni dell’ex, la moglie, ingolosita dall’idea di poter ottenere un assegno di mantenimento più alto, potrebbe avanzare una richiesta di revisione degli accordi di divorzio. Tuttavia, il semplice fatto che il marito sia diventato molto più abbiente della moglie non rappresenta un presupposto per l’aumento automatico dell’assegno.

In linea generale, il divario delle condizioni economiche tra i due coniugi non costituisce la condizione sufficiente per ottenere l’assegno di mantenimento o modificarlo può, però, essere il presupposto per rivedere dinanzi al Giudice quanto stabilito in sede di divorzio e parametrarlo alla situazione attuale se ne ricorrono le condizioni.

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L’assegno di mantenimento tra separazione e divorzio

Capita spesso di vedere coppie in cui marito e moglie sono entrambi professionisti affermati. Ciascuno dispone di un patrimonio e di un reddito consistente che li rende autosufficienti ed economicamente indipendenti l’uno dall’altro. Durante la separazione, la loro posizione non subisce alcun contraccolpo, tant’è che nessuno dei due chiede un assegno di mantenimento. Tuttavia, nel corso dei mesi successivi alla sentenza di separazione, la condizione economica del marito precipita improvvisamente. Investimenti sbagliati e la perdita di qualche cliente importante lo hanno portato quasi sul lastrico.

Che cosa potrebbe accadere in sede di divorzio?

A causa dell’evidente peggioramento della sua condizione economica, il marito potrebbe avanzare la richiesta di un assegno divorzile, trovandosi in una posizione più debole rispetto alla moglie. Non esiste alcun legame di causa-effetto tra l’assegno di mantenimento riconosciuto dopo la separazione e quello eventualmente stabilito in sede di divorzio. Questo significa che, se durante la separazione nessuno dei coniugi ha chiesto un assegno di mantenimento, nulla vieterebbe che uno dei due ne faccia domanda durante la fase di divorzio, vedendosene riconosciuto il diritto. In altri termini, le decisioni assunte in sede di separazione non sono vincolanti per il Giudice del divorzio. Possono sì costituire un “punto di partenza” per la nuova valutazione, ma non necessariamente influenzano la sentenza divorzile.

La moglie, quindi, potrebbe vedersi costretta a versare al marito un assegno di mantenimento poiché, all’atto del divorzio, vanta una posizione economica più forte e stabile rispetto al marito.

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Tasse e assegno di divorzio. Le quote che “fanno reddito”

Ai fini fiscali, è bene tener presente che l’assegno di mantenimento – se si tratta di un assegno periodico – è considerato al pari del reddito da lavoro dipendente. Quindi, la somma riconosciuta in fase di sentenza di divorzio al coniuge che si trova nella condizione di svantaggio economico è al lordo delle tasse. Questo significa che il netto che il coniuge beneficiario dell’assegno effettivamente percepirà sarà inferiore.

È evidente che, specularmente, il coniuge che corrisponde l’assegno all’ex può dedurlo dalle tasse. È necessario però che si tratti di assegni periodici; le somme corrisposte una tantum non sono infatti detraibili in fase di dichiarazione dei redditi.

L’assegno di mantenimento dei figli

In maniera del tutto differente vengono trattati a livello fiscale gli assegni destinati al mantenimento dei figli. Questi non possono essere dedotti dal reddito del coniuge che li versa e, di conseguenza, non sono inclusi nel reddito del coniuge che li riceve. Tutto ciò implica che, se la sentenza di divorzio ha previsto un unico assegno periodico che include sia il mantenimento del coniuge sia quello dei figli, solo la parte che spetta al coniuge deve essere inclusa nella dichiarazione dei redditi. Su questa il coniuge beneficiario vi pagherà le tasse, mentre il coniuge obbligato al versamento la potrà dedurre dal suo reddito.

Se si considerano entrambe la parti, il coniuge chiamato a corrispondere l’assegno è leggermente agevolato rispetto al beneficiario, in quanto grazie alla deducibilità fiscale dell’assegno andrà a pagare meno tasse.

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Tenore di vita reale e potenziale nella determinazione dell’assegno di mantenimento

L’assegno di mantenimento viene riconosciuto al coniuge che, per effetto del divorzio, si trova all’interno della coppia in una posizione di svantaggio economico. Avendo natura assistenziale, esso intende ripristinare un equilibrio tra le parti garantendo al coniuge economicamente più debole i mezzi necessari per poter godere di un tenore di vita analogo a quello avuto durante il matrimonio. Ma è bene soffermarsi con attenzione sul concetto di tenore di vita.

Ipotizziamo, ad esempio, che durante il rapporto coniugale marito e moglie abbiano sempre condotto una vita piuttosto modesta. Nonostante un lavoro importante in azienda e uno stipendio elevato per il marito ed un impiego part-time per la moglie, la famiglia ha scelto uno stile di vita semplice, moderato. Un’automobile utilitaria, poche cene al ristorante e solo in occasioni importanti, vacanze low-cost. Al momento della separazione o del divorzio il marito potrebbe proporre un assegno in linea con il modo di vivere passato. La moglie, però, ritiene di avere diritto ad una vita più brillante e meno sacrificata.

Il tenore di vita potenziale

 E’ bene sottolineare che, ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento, non ha rilievo il tenore di vita effettivamente goduto dai coniugi durante il matrimonio, ma il tenore di vita potenziale di cui i due avrebbero potuto godere. Nella fase di analisi delle posizioni economiche, quindi, il giudice analizzerà l’adeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente l’assegno in funzione delle potenzialità economiche reali di entrambi.

Ciò significa che la moglie potrà far affidamento su un assegno commisurato alle reali disponibilità economiche della coppia e non solo allo stile di vita dimesso e risparmioso mantenuto durante il matrimonio.

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Cambiare lavoro per cambiare vita. Le conseguenze sull’assegno divorzile

Il lavoro rappresenta una componente fondamentale nella vita contemporanea: permette a ciascuno di ottenere quell’indipendenza economica necessaria non solo per poter realizzare il proprio progetto di vita – coniugale o meno – ma anche per poter dare libero sfogo alle proprie passioni. Molto spesso però il lavoro finisce per assorbire quelle energie, quell’attenzione e quel tempo libero che invece si vorrebbe dedicare ad altro.

Non è un caso il fatto che stia prendendo piede anche in Europa la cosiddetta pratica del downshifting. Uomini e donne, specie professionisti, decidono di riprendere in mano le redini della propria esistenza: volontariamente scelgono di rinunciare a una parte dello stipendio pur di rallentare i ritmi e godersi di più la vita. E’ con questo spirito che si opta per una riduzione dell’orario di lavoro o per il pensionamento anticipato. Non sempre però la decisione trova la giusta accoglienza da parte del partner o perfino dell’ex.

La diminuzione dello stipendio e l’assegno di divorzio

Col diminuire della disponibilità economica, il coniuge che è chiamato a versare l’assegno divorzile può chiederne la revisione. Ecco perché sono molto frequenti i casi in cui la scelta dell’ex marito di ridurre il proprio orario di lavoro o di andare in pensione viene osteggiata dall’ex moglie. Di fatto, la donna potrebbe interpretare la decisione dell’ex come una forma di ripicca nei suoi confronti, che si manifesterebbe nella diminuzione dell’assegno divorzile.

Tuttavia, al di là delle pretese dell’ex, la Cassazione ha stabilito che i cambiamenti economici dovuti a una scelta volontaria dell’ex coniuge rientrano di regola tra i giustificati motivi che prevedono la possibilità di rivedere l’assegno di mantenimento.

Il lavoro, la carriera, il prepensionamento sono scelte che rientrano tra i diritti di libertà della persona e come tali devono essere tutelati. Ecco che, per esempio, l’ex coniuge che decide di cambiare lavoro o passare da un full time a un orario part time, può chiedere, a fronte della diminuzione del proprio reddito, che le/gli venga ridotto l’ammontare dell’assegno di divorzio da pagare.

Procedimento di revisione dell’assegno divorzile

Affinché le condizioni dell’assegno di mantenimento vengano riviste, però, è sempre necessario rivolgersi al Tribunale. Il Giudice, a fronte di una domanda di revisione, dovrà riesaminare la situazione patrimoniale e reddituale dei due coniugi, alla luce delle novità emerse rispetto alla fase di divorzio. Verranno presi in considerazione, tra i vari aspetti, gli eventuali immobili di proprietà o in locazione, le rendite finanziarie, oltre al reddito da lavoro o alla pensione. Sarà solo dopo un’accurata valutazione delle condizioni economiche di entrambe le parti che verrà effettuata la revisione dell’assegno, soprattutto nel caso in cui vi sia un evidente mutamento.

L’ex coniuge che intende anticipare la pensione, cambiare lavoro o ridurre gli orari per avere a disposizione più tempo libero, quindi, non deve temere che questo suo desiderio venga male interpretato dal Giudice nel momento in cui dovesse richiedere una riduzione dell’assegno divorzile. Le decisioni del lavoratore che comportano una diminuzione del suo reddito non sono contestate a prescindere, ma diventano un presupposto per ribilanciare la situazione economica delle parti.

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Dopo il divorzio, una nuova storia d’amore. Cosa accade all’assegno divorzile in caso di convivenza

Un matrimonio fallito alle spalle è senza dubbio una ferita che pesa. Eppure, anche quando si è convinti di non “avere più l’età” per innamorarsi o quando l’idea di un nuovo partner è proprio l’ultimo dei pensieri, può capitare del tutto inaspettatamente di ritrovarsi a vivere una relazione serena e felice.

Può così accadere che una donna, chiuso il capitolo del primo matrimonio, incontri un nuovo partner e inizi con lui una storia d’amore. Col tempo, se tutto procede per il meglio, potrebbe tornare a farsi vivo il desiderio di mettere radici più profonde, ad esempio andando a convivere e rendendo in questo modo più stabile il rapporto anche nella quotidianità. Vivere insieme è infatti un traguardo importante e significativo, da affrontare a cuor leggero se è ciò che si desidera realmente, ma quando si ha un divorzio alle spalle è bene conoscere quali potrebbero essere le conseguenze che una nuova convivenza potrebbe comportare, in primo luogo se si è titolari di un assegno divorzile.

Nuove nozze dopo il divorzio

L‘obbligo di corrispondere l’assegno all’ex coniuge viene meno in caso di seconde nozze. Se, cioé, il beneficiario decide di risposarsi, il suo diritto all’assegno divorzile cessa definitivamente. E’ necessario, però, depositare apposita istanza di modifica delle condizioni di divorzio al Tribunale competente.

La convivenza

Si può giungere ad una revisione delle condizioni di divorzio, anche quando il beneficiario inizi una nuova convivenza che ha carattere di stabilità e continuità. In particolar modo l’ex coniuge potrà perdere l’assegno di mantenimento, o vederselo ridotto, senza possibilità di chiederlo nuovamente, anche qualora la convivenza dovesse finire.

Non pensiamo, quindi di evitare intenzionalmente le nozze col nuovo compagno per il timore di perdere l’assegno di mantenimento privilegiando viceversa una convivenza, perché anche in quest’ultimo caso si potrebbe rischiare di vedersi negato il diritto all’assegno. Se l’ex richiedesse al tribunale una revisione degli accordi, il Giudice potrebbe stabilire una diminuzione dell’importo o perfino esonerarlo del tutto dall’obbligo di pagamento.

In qualsiasi circostanza, però, è bene precisare che l’assegno non può essere sospeso di propria iniziativa dal coniuge obbligato a versarlo. Solo una sentenza emessa dal Giudice può stabilire una revisione o la sua totale cancellazione.

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Non paga l’assegno di divorzio, quali possibili conseguenze penali

Licenziamento, spese impreviste, problemi di salute. Le ragioni che possono causare il mancato pagamento di un assegno divorzile possono essere tante e di diversa natura.

Può accadere, ad esempio, che l’ex coniuge – impiegato in cassa integrazione – si ritrovi in breve tempo ad affrontare serie difficoltà economiche. L’affitto, la rata dell’automobile e l’assegno di mantenimento gravano significativamente sulla sua busta paga. Impossibilitato a far fronte a tutte le spese, decide quindi autonomamente di sospendere per qualche mese il pagamento dell’assegno di divorzio. Si tratta di una decisione drastica che può far andare incontro a seri provvedimenti.

In linea generale il mancato pagamento – anche parziale – dell’assegno di divorzio è un comportamento che può configurare un reato nel caso in cui vengano fatti mancare i mezzi di sussistenza al coniuge o ai figli. La pena prevede la reclusione fino a un anno o la multa da 103 a 1.032 euro.

Quando il mancato pagamento non è reato

 Sull’argomento si è pronunciata la Corte di Cassazione che ha ammesso delle eccezioni. Se cioè il coniuge chiamato a pagare l’assegno si trova effettivamente in difficoltà economiche e il mancato versamento non lascia i beneficiari senza totale sostentamento, in linea di massima non vengono applicate le misure normalmente previste. Deve, quindi, realizzarsi una condizione essenziale: il mancato pagamento dell’assegno non deve far venir meno i mezzi di sopravvivenza all’ ex coniuge ed ai figli.

Ogni caso è a sé e dovrà essere analizzato singolarmente: si potrà valutare se i pagamenti sono omessi per un periodo limitato di tempo, o se subiscono solo lievi ritardi o riduzioni parziali. Dall’altra parte si dovrà valutare la situazione della famiglia nel suo complesso. Se coniuge e figli beneficiari dell’assegno, per esempio, hanno altri redditi, non ci sarebbero gli estremi penali per procedere contro il mancato versamento.

Non è scontato, quindi, che il coniuge che non ha versato l’assegno di mantenimento debba subire conseguenze drastiche. Viene ammessa la possibilità che si verifichino situazioni indipendenti dalla volontà dell’obbligato tali da metterlo nella condizione di non riuscire ad affrontare la spesa.

In caso di un improvviso peggioramento delle proprie condizioni economiche, però, è bene richiedere tempestivamente al Tribunale la revisione dell’assegno. Sarà opportuno attivarsi quanto prima per chiedere una modifica dell’assegno di mantenimento. Questa dovrebbe essere la strategia migliore da seguire e da mettere in atto con la massima rapidità. Teniamo presente, però, che gli arretrati non corrisposti dovranno essere comunque saldati.

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Ri…sedotto e abbandonato

Dopo la separazione, può accadere che i due coniugi siano travolti dalla passione che li legava un tempo e ricostruiscano un legame sentimentale: tornare a dormire moglie insieme, avere rapporti intimi, può creare aspettative e far pensare che i rapporti ricuciti possano andare nella direzione di una riconciliazione. Pensiamo alla doccia fredda che può avere un marito se dopo tutto questo la moglie decide di chiedere il divorzio.

Presupposti della riconciliazione 

Affinché la riconciliazione possa rendere nulli gli effetti della separazione è indispensabile che vi sia la concreta ricostituzione dell’unione. Marito e moglie devono cioè ritrovare quella comunione materiale e spirituale che contraddistingue il matrimonio e che viene meno in caso di separazione. In questo senso la semplice convivenza non è sufficiente, né lo è l’eventuale ripresa di rapporti sessuali: è necessario che i due coniugi ritrovino la comune volontà di rimettere insieme le forze per continuare un percorso di vita comune. Se ad esempio la conflittualità continua, nonostante il rinnovato tentativo di convivenza, è altamente improbabile riconoscere una riconciliazione. Diversamente, può essere confermata la riconciliazione nel momento in cui tra marito e moglie sia verificabile il fermo desiderio di entrambi di ricostruire un rapporto a due duraturo.

La riconciliazione come strumento per opporsi al divorzio

Perché si possa parlare di riconciliazione, quindi, è essenziale che la famiglia torni a essere unita e venga ripristinata la comunione alla base della vita di coppia. In tal caso il Giudice potrebbe ritenere interrotta la separazione, purché vi siano atti, comportamenti, gesti concreti, dimostrabili e oggettivi, che accertino l’effettiva ricostituzione del legame matrimoniale. Qualora quindi la riconciliazione fosse oggettiva e verificabile, il marito potrebbe opporsi all’eventuale richiesta di divorzio formulata dalla moglie. Se accertata, la riconciliazione cancellerebbe lo status di separati costringendo il coniuge che ha richiesto il divorzio a ricominciare l’iter dalla separazione.

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L’assegno di divorzio: come muoversi per non farsi sorprendere

Una volta maturati i tempi per chiedere il divorzio, i due coniugi possono decidere di procedere con il definitivo scioglimento del matrimonio. Indipendentemente da quanto accaduto in sede di separazione, in questa fase vengono comunque effettuate le analisi economiche necessarie per poter definire l’eventuale assegno divorzile. Non sempre però i coniugi sono a conoscenza della reale situazione economica del partner.

Sono frequenti, per esempio, quei casi in cui la moglie, che per l’intera durata del matrimonio ha svolto un’attività casalinga, non abbia affatto chiaro il quadro economico familiare ed ignori l’ammontare del patrimonio e delle disponibilità economiche del marito. In un simile contesto, senza l’adeguato supporto, la moglie potrebbe incorrere in un grosso rischio: qualora le venisse riconosciuto un assegno divorzile, questo potrebbe essere calcolato su stime approssimative ed essere inferiore alle reali disponibilità del marito. Ecco che quindi risulta essenziale affidarsi a professionisti che aiutino il coniuge a fare luce sull’intera situazione.

Cos’è l’assegno di divorzio

Prima di tutto precisiamo che l’assegno di divorzio o post-matrimoniale è un contributo economico di natura assistenziale: mira cioè a tutelare la parte economicamente più debole della coppia garantendole i mezzi adeguati a mantenere un tenore di vita analogo a quello in essere durante il matrimonio. Per ottenerlo, è indispensabile esaminare il criterio del tenore di vita insieme al contributo fornito alla conduzione della vita familiare dal coniuge in una concezione “composita” dell’assegno di mantenimento per la determinazione del quale deve essere fatta una valutazione più armonica e comparativa delle rispettive condizioni economico-patrimoniali.

E’ bene sottolineare che il coniuge che richiede l’assegno non deve necessariamente trovarsi in stato di bisogno, ma semplicemente in una condizione di svantaggio: lo scopo, infatti, è ristabilire attraverso l’assegno un equilibrio tra le parti dopo lo scioglimento del matrimonio.

Come viene determinato l’assegno di divorzio

Se le parti non trovano un accordo, Il processo di definizione dell’assegno divorzile prevede due fasi.

In primo luogo, il Giudice deve valutare se esiste o meno il diritto in astratto all’assegno, tenendo in considerazione tutta una serie di parametri. Tra questi, imprescindibile è l’analisi delle condizioni del coniuge richiedente cui abbiamo accennato in precedenza.

Se le condizioni in astratto ci sono, il Giudice dovrà allora definire concretamente l’ammontare dell’assegno.

Questa è una fase estremamente delicata nella quale è importante avere un quadro d’insieme completo. Per questo è preferibile rivolgersi ad uno Studio che collabori con un team di professionisti multidisciplinari, che operino su diversi livelli, per avviare eventuali indagini che approfondiscano e chiariscano la condizione economica e patrimoniale di marito e moglie: il loro reddito, gli eventuali immobili di proprietà, le pensioni sociali o d’invalidità e comunque la consistenza dell’intero patrimonio.

Commercialisti, consulenti e perfino investigatori privati, se necessario, lavorano insieme allo studio legale. L’obiettivo è mettere a fuoco il reale stato economico della controparte così come il contributo personale ed economico dato dai coniugi nella quotidianità dei bisogni della famiglia e dell’incremento del patrimonio.

Ecco perché, come nell’ipotesi delineata, è raccomandabile che il coniuge non si lasci tentare da un approccio “fai-da-te”, ma si rivolga a figure professionali qualificate, per tutelarsi al meglio e difendere i propri diritti.

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Lui è un violento. Divorziare in caso di reati sessuali o familiari

Le statistiche che indagano sul fenomeno della violenza sulle donne dipingono una realtà estremamente drammatica. Da un studio Istat pubblicato il 5 giugno 2015 emerge che 6 milioni 788 mila donne hanno subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Sono dati pesanti, numeri che nascondono storie diverse, ma tutte accomunate dalla triste realtà di uomini violenti, che fin troppo spesso sono volti conosciuti: quelli di un padre o di un marito. A confermarlo è ancora una volta l’Istat, secondo cui il 62,7% degli stupri viene commesso da un partner attuale o precedente.

Chi scopre di aver sposato una persona pericolosa vive in costante stato d’angoscia, nel timore che quell’atteggiamento aggressivo e dispotico faccia improvvisamente capolino alla prima futile discussione. Si abitua a convivere con la paura fino ad accettare l’inaccettabile. Quando ci si ritrova a vivere in una simile situazione, non c’è altra soluzione se non agire tempestivamente. Chiedere il divorzio può essere una via di scampo da una relazione violenta.

Reati di violenza sessuale – come ad esempio la costrizione o il favoreggiamento della prostituzione e delle relazioni incestuose – o di violenza ai danni del coniuge e dei figli costituiscono cause per poter chiedere il divorzio immediato. 

Nell’attesa della sentenza esistono strumenti di intervento quali l’allontanamento dell’uomo dalla casa coniugale, e dalla famiglia, o provvedimenti ancora più restrittivi che gli impediscano di avvicinarsi non solo all’abitazione, ma anche alla scuola dei figli o alla sede di lavoro. Questi mezzi sono essenziali per evitare il ripetersi della situazione di difficoltà familiare nell’attesa delle formalità giuridiche. Consideriamo, tra l’altro, che in circostanze come queste i giudici sono soliti velocizzare, per quanto possibile, le tempistiche necessarie per la pronuncia del divorzio.

Un aiuto esterno per reagire alla violenza

La moglie che scopre di avere accanto un marito violento non deve esitare ad agire, per il suo bene e quello dei figli. Chiedere aiuto è importante per capire come affrontare una questione tanto delicata. Ed è fondamentale rivolgersi alle autorità per denunciare gli episodi di violenza nonché informarsi per poter avviare le procedure di divorzio e prendere le opportune precauzioni.

Per essere supportate in questo percorso le vittime possono anche contare sull’appoggio di strutture adeguate dove trovare psicologi, assistenti sociali ed consulenti legali in modo tale da essere seguite passo passo in queste complicate vicende giudiziarie e personali. La Comunità Europea sta lavorando per fare in modo che in tutti i paesi dell’unione tali appoggi siano previsti dalla legge e siano forniti sempre gratuitamente o, comunque, con notevoli agevolazioni economiche.

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Uno strumento poco conosciuto: l’Assegno successorio, cos’è e a chi spetta

Quando l’ex coniuge muore, il coniuge divorziato perde il diritto all’assegno divorzile che fino a quel momento percepiva. E non solo: il divorzio, cancellando lo status coniugale, cancella anche tutti i diritti successori. Non importa quanto a lungo sia durata la relazione, l’ex non rientra più tra gli eredi legittimi.

Oltre al dolore per la perdita di una persona che comunque ha avuto un ruolo significativo nella propria vita, il coniuge divorziato potrebbe ritrovarsi nella condizione di non riuscire più a far fronte alle normali spese quotidiane. Quando si perde l’assegno divorzile, magari rimasto l’unica fonte di reddito, i costi della casa, le spese mediche e persino quelle alimentari potrebbero seriamente diventare difficili da pagare.

In casi come questi, la legge prevede che al coniuge divorziato possa però essere riconosciuto un assegno successorio. Si tratta di un assegno a carico dell’eredità che quindi viene versato all’ex coniuge dagli eredi. E’ però necessario che l’ex coniuge si trovi in stato di bisogno: deve cioè trovarsi in condizioni economiche tali da non poter far fronte alle esigenze primarie ed essenziali di vita.

Richiesta e quantificazione

Per ottenere l’assegno successorio, il coniuge divorziato dovrà rivolgersi al Tribunale e farne richiesta. Il Giudice, dopo aver verificato il caso concreto, calcolerà la somma tenendo in considerazione diversi fattori, tra i quali, l’entità dell’eredità, il numero degli eredi e le loro condizioni economiche.

Difficilmente gli eredi potranno opporsi. Nemmeno se si tratta della nuova famiglia formatasi dopo il divorzio come nel caso di coniuge sposato in seconde nozze o di figli di “secondo letto”.

È importante però sottolineare che se nel tempo cambiano le condizioni economiche – tanto dell’ex coniuge divorziato, quanto degli eredi – potrà variare anche l’ammontare dell’assegno. Allo stesso modo, il diritto all’assegno successorio potrebbe venire meno se l’ex coniuge divorziato si risposasse o se cessasse il suo stato di bisogno, condizione fondamentale per poterlo ottenere.

Il divorziato che si trovi nella condizione di veder mancare improvvisamente l’ex coniuge, e con lui l’assegno di mantenimento, ha quindi a disposizione molteplici strumenti per poter fra fronte autonomamente ai proprio bisogni economici, o quantomeno a quelli di primaria necessità.

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