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Adozione internazionale: diventare genitori di un minore straniero | Requisiti e procedura

Negli ultimi anni la procedura di adozione internazionale ha raggiunto numeri ragguardevoli superando anche le adozioni nazionali. Tale passaggio permette di diventare genitori di un minore straniero. I numeri dicono che nel 2013 sono stati oltre 2.800 i bambini stranieri adottati da famiglie italiane, spesso attraverso procedure lunghe e costose che possono facilmente scoraggiare anche i più determinati a portare a termine il percorso di adozione.

I requisiti e la procedura per l’adozione internazionale

 

Per poter adottare un minorenne straniero la coppia deve essere sposata da almeno tre anni e deve esserci una differenza di età fra adottante e adottato non inferiore a 18 anni né superiore a 45. Marito e mogie devono chiedere al Tribunale di ricevere la dichiarazione di idoneità: il Tribunale dispone approfondite verifiche, anche mediante i servizi sociali, e in particolare valuta l’attitudine della coppia ad accogliere un minorenne straniero.

Allo stato non è possibile che una coppia omosessuale unita civilmente possa accedere a detta procedura adottiva.

Una volta ottenuta l’idoneità, la coppia può avviare le pratiche per adottare un minore straniero: è opportuno, per la fase di reperimento del minore e del disbrigo delle pratiche all’estero, farsi assistere da professionisti o da enti qualificati perché molto spesso la procedura si rivela un vero e proprio percorso a ostacoli. Innanzitutto, bisogna ottenere un certificato di adozione, o di affidamento finalizzato all’adozione, da parte dell’Autorità competente del Paese straniero. Se ciò non è possibile, è necessario chiedere l’autorizzazione all’espatrio del minore a scopo adozione: per ottenerla di solito è necessario trascorrere diverso tempo nel Paese di provenienza del minore per espletare tutte le pratiche, con tutte le difficoltà del caso, prima tra tutte quelle linguistiche.

I costi dell’adozione internazionale

 

Il procedimento per completare un’adozione internazionale può dunque rivelarsi lungo e faticoso, oltre che costoso: a seconda del Paese e dell’Ente prescelto, la cifra necessaria può variare fra circa 7.000 € e 18-20.000€ e può essere dedotta in fase di dichiarazione dei redditi per un importo pari al 50% di quello sostenuto.

Dopo aver ricevuto la documentazione dal Paese di origine, ad ogni modo, lo scoglio principale è superato: il minorenne può trasferirsi in Italia e il Tribunale può disporre l’affidamento preadottivo. Una volta concluso con esito positivo questo periodo, l’adozione diventa definitiva e il minore diviene a tutti gli effetti figlio in costanza di matrimonio della coppia adottiva: assume quindi il cognome del padre e acquisisce la cittadinanza italiana.

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Possibili aiuti statali in caso di genitori in difficoltà non solo economica

Essere genitori significa poter attraversare un momento di difficoltà, non solo economica, ed avere problemi nell’educazione dei propri figli. In questi casi è possibile ottenere appositi aiuti statali che permettono al genitore di superare la problematica e dimostrare la propria capacità genitoriale.

Prendiamo l’esempio di una madre single con due bimbi piccoli da crescere ha recentemente perso il lavoro e non è più in grado di pagare l’affitto della casa in cui vive con i figli. La maestra di uno dei bambini ha allertato gli assistenti sociali, e la madre teme che i figli le possano essere tolti.

Questa può essere una paura legittima quando ci si sente accerchiati e privi di possibilità. Quello che dobbiamo tenere presente, però, è che la normativa che protegge i minori, e regolamenta le procedure di adozione, ha il primario obiettivo di tutelare i bambini e di salvaguardare il loro benessere e la loro integrità psicofisica. Se questo, a volte, implica il dover allontanare il minore dalla famiglia, è importante sottolineare che i Tribunali decidono in tal senso solo nel caso in cui siano del tutto convinti, ed abbiano prove concrete, che la famiglia biologica non sia in grado di prendersi cura al meglio del bambino. In caso di difficoltà i genitori dovrebbero attivarsi per primi per chiedere sovvenzioni o aiuti allo Stato, dimostrando così di reagire ai problemi e di essere in grado di crescere ed educare al meglio i propri figli, senza aspettare passivamente l’intervento di terzi.

Gli interventi a sostegno della famiglia

 Le condizioni di indigenza della madre non sono ritenute sufficienti a privare i figli minorenni del diritto alla loro famiglia. Proprio per dare supporto, anche preventivo, ai genitori esisto enti in grado di fornire aiuti sia economici sia psicologici alle famiglie in stato di difficoltà. Lo Stato e le Regioni, ad esempio, corrispondono assegni periodici alle famiglie bisognose, mentre i comuni gestiscono l’assegnazione di case popolari a coloro che ne fanno richiesta, in base alla graduatoria delle domande che è agevolata in caso di presenza di uno o più figli piccoli. Infine, molto spesso lo Stato garantisce anche incentivi alle imprese che decidono di assumere genitori con figli minori a carico.

L’impegno della famiglia è fondamentale per dimostrare la capacità genitoriale

 I genitori che si trovano in difficoltà devono dimostrare di aver fatto tutto il possibile per porre rimedio alle difficol che stanno affrontando: la madre potrebbe iscriversi ai centri per l’impiego, presentare domanda per un alloggio popolare o rivolgersi ai professionisti messi a disposizione dalle istituzioni per ricevere supporto economico o psicologico. In questo modo gli assistenti sociali potrebbero capire che la madre ha il controllo di sé e dei figli e sta cercando di fare il possibile per superare la situazione di difficoltà e procederanno con un intervento di supporto ed assistenza, che sia conservativo del rapporto madre-figlio, senza drastici allontanamenti.

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Genitori separati o divorziati: il collocamento del figlio non dipende dal trasferimento in un’altra città

Il trasferimento in un’altra città non determina l’automatica modifica del collocamento del figlio in caso di genitori separati o divorziati o ex conviventi. Il lavoro, gli affetti o il desiderio di cambiare vita: sono tutte motivazioni che possono determinare la scelta di cambiare residenza verso una nuova città o perfino in un’altra nazione. Quando ci sono dei figli, però, questo slancio rischia di subire uno stop.

Quando il cambio di residenza non è concordato

Se i due genitori sono d’accordo, e non trovano ostacolo nella diversa volontà della prole, è tendenzialmente escluso ogni impedimento al trasferimento. Se madre e padre non hanno lo stesso punto di vista, invece, possono sorgere le problematiche.

Vediamo a proposito cosa accadrebbe ad un padre che vive con i due figli avuti dall’ex moglie. I bambini sono stati collocati presso di lui ma affidati anche alla madre, che vive con un nuovo compagno nello stesso quartiere dell’ex marito. I rapporti tra i genitori sono rimasti cordiali e la vicinanza facilita molto la madre, che riesce a vedere i figli quasi quotidianamente.

Il padre, desideroso da tempo di cambiare lavoro, riceve un’offerta molto allettante in un’altra città a pochi chilometri di distanza dalla attuale. Prima di prendere una decisione, che inevitabilmente coinvolgerebbe anche i figli, il padre si confronta con l’ex moglie che si dimostra restia all’idea di un cambio di residenza. Non vuole che i figli lo seguano perché ha paura di non poterli vedere come adesso.

Quando non c’è l’accordo tra padre e madre, pertanto, il genitore che vuole cambiare residenza dovrebbe chiedere l’intervento del Tribunale, il quale dovrebbe valutare se il cambio possa impattare sul diritto di visita dell’altro genitore, ma soprattutto sulla vita dei figli stessi.

Le valutazioni del Giudice sul cambio di residenza

Di per sé, il trasferimento del genitore con cui vivono prevalentemente i figli non implica che debbano andare a vivere con l’altro. Le situazioni devono essere esaminate caso per caso. Gli stessi criteri vengono utilizzati dai Giudici sia in caso di genitori separati o divorziati che in caso di genitori ex conviventi.

In primo luogo il Giudice dovrà valutare se tale spostamento possa turbare o creare disagio ai minori. Cambiare città significa dover abbandonare l’ambiente in cui i bambini sono cresciuti e con esso i parenti, gli amici, la scuola. Il Giudice potrebbe ascoltare i minori proprio per prendere in considerazione le loro posizioni e le loro reazioni rispetto all’idea di un trasferimento.

Si dovrà anche valutare se il cambio di residenza possa compromettere significativamente il rapporto dei figli con l’altro genitore, che potrebbe avere maggiori difficoltà a passare del tempo con i bambini e partecipare alla loro vita quotidiana.

Dopo queste dovute premesse in un caso come quello che abbiamo descritto, data la scarsa distanza tra le due città, è probabile che il Giudice non impedisca il cambio di residenza dei figli. Il diritto di visita della madre, infatti, può essere agevolmente mantenuto o modificato per venire incontro alle nuove esigenze sue e dei minori.

L’impedimento potrebbe essere rappresentato più dall’eventuale disagio dei bambini all’idea di abbandonare la città e la casa in cui sono cresciuti che dall’opposizione della ex.

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Assegnazione casa familiare: disposta anche se i genitori non sono sposati | Convivenza e coppie di fatto

Tutti i figli godono degli stessi diritti, che derivano loro dallo status di figlio e non dal fatto di essere nati durante il matrimonio dei genitori. Ciò ha dirette implicazioni per le coppie di conviventi. In caso di cessazione della convivenza, infatti, se si è in presenza di figli, i genitori devono rispettare le regole previste  per le coppie sposate, che si separano, in materia di affidamento e mantenimento dei figli e assegnazione della casa familiare. Lo scopo è quello di tutelare i figli e i loro interessi.

La casa familiare dopo la rottura della convivenza

Il concetto di assegnazione della casa familiare veniva solitamente associato a una procedura di separazione. Oggi è ormai assodata la possibilità di procedere con la decisione sulla casa anche di fronte alla fine di una convivenza more uxorio. La casa familiare, come luogo di protezione naturale del bambino, infatti, è strettamente legata ai suoi bisogni ed alle sue esigenze. Per questo motivo le decisioni che la coinvolgono sono influenzate dalla presenza di un figlio. Del resto se due conviventi diventano genitori contraggono gli stessi e identici obblighi nei confronti dei figli rispetto a due genitori sposati. Il principio di responsabilità genitoriale, infatti, deriva dalla maternità e dalla paternità, non dal matrimonio.

Di fronte alla nascita di un bambino, quindi, i genitori conviventi hanno il dovere di far fronte a tutte le sue esigenze, anche nel momento in cui la convivenza dovesse interrompersi. Come durante una separazione, infatti, la fine di una convivenza può rappresentare per il figlio un momento particolarmente difficile. Il bambino potrebbe faticare, soprattutto nei primi tempi, ad accettare il distacco da uno dei due genitori. Si tratta di una fase molto delicata, soprattutto se il figlio coinvolto è molto piccolo: l’iniziale spaesamento per la mancanza di uno dei suoi punti di riferimento potrebbe provocargli stress, sofferenza e, in generale, una sensazione di disagio. Naturalmente, la situazione si complica se questa fase di distacco è accompagnata da un clima di accesa conflittualità, determinato da contese tra i genitori.

Per queste ragioni a tutela del minore si cerca di limitare, per quanto possibile, ogni ulteriore significativo cambiamento che potrebbe turbarlo, primo tra tutti l’improvviso cambio di casa.

Nella grande maggioranza dei casi, quando due genitori ex conviventi si trovano dinanzi al Tribunale per la definizione dell’affidamento e del mantenimento dei figli, il Giudice assegna la casa familiare al genitore prevalentemente convivente con loro, proprio per i motivi che abbiamo accennato. Ciò vale indipendentemente dalla proprietà dell’immobile: l’assegnazione viene effettuata senza badare al fatto che essa appartenga ad uno solo dei genitori o sia in comproprietà. In sostanza l’eventuale proprietario non assegnatario resterà proprietario dell’immobile ma dovrà andare a vivere da un’altra parte.

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Il cambio di sesso da minorenni in Italia è impossibile anche con il consenso dei genitori

I minorenni in Italia non possono procedere con il cambio di sesso neppure se i genitori danno il loro consenso. Il tema è estremamente delicato, non solo perché tocca diversi aspetti dell’individuo, ma anche perché vi è molta confusione al riguardo, derivante per lo più da un diffuso perbenismo che non ha fatto altro che alimentare ignoranza, stereotipi e pregiudizi.

Cos’è il disturbo dell’identità di genere

Si chiama “disturbo dell’identità di genere” o “disforia di genere” e si manifesta in quelle persone che s’identificano nel sesso opposto rispetto a quello biologico o che si sentono inadeguati nel ruolo di genere che corrisponde ad esso.

Secondo gli studi più recenti in materia, la disforia di genere potrebbe iniziare a manifestarsi negli anni dell’adolescenza o addirittura durante l’infanzia.

In questi casi i genitori, inconsapevolmente, possono sottovalutare la questione se non hanno gli strumenti per rapportarsi in maniera giusta con il figlio o la figlia.

Pensiamo ad una bambina che ha sempre manifestato segni tipicamente maschili che, però, viene spinta dai genitori ad agire contro la sua volontà, indossando abiti più femminili o svolgendo attività ricreative più adatte a una femmina.

Con l’adolescenza, le difficoltà e il tormento interiore della ragazza potrebbero presentarsi con maggiore irruenza. La giovane, magari derisa dai compagni di classe e incompresa dai genitori, rischierebbe di chiudersi nella sua sofferenza. In certi casi, però, i genitori sono più comprensivi di quanto si creda e probabilmente, la vista di tanto dolore, li farebbe decidere a rivolgersi a un centro di specialisti, al fine di fornire un valido supporto psicologico alla figlia.

La ragazza potrebbe così iniziare un percorso di analisi, mentre parallelamente i genitori potrebbero trovare appoggio e suggerimenti su come meglio gestire la situazione. Dopo mesi di trattamento, madre e padre si potrebbero convincere a ritenere che la soluzione migliore per la figlia possa effettivamente essere il cambio di sesso, come la giovane chiede da tempo.

Questa travagliata vicenda familiare fatta di supporto ma anche di sofferenze da un lato avrà cementato il legame dei genitori con la figlia ma, dall’altra, non potrà avere immediato seguito nella pratica.

Cambiamento di sesso: una scelta che è permessa con la rappresentanza dei genitori

In Italia, infatti, fino a questo momento non è ammessa la possibilità di “delegare” a terzi la decisione di cambiare sesso neppure se questi terzi sono i genitori, a tutti gli effetti tutori legali dei figli minori.

I genitori, quindi, non possono presentare per conto della figlia la domanda di autorizzazione al cambiamento di sesso. Questa è ritenuta una decisione che interessa un “diritto personalissimo” che, in quanto tale, non ammette rappresentanza, cioè non può essere esercitato da nessun altro.

Il minore che desideri cambiare sesso, quindi, dovrà attendere il compimento della maggiore età e a quel punto agire autonomamente. Finché non raggiunge la soglia del diciottesimo anno, infatti, non gli è riconosciuta la possibilità di agire né potrà chiedere ai propri genitori di farsi portavoce della sua richiesta

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Religioni diverse dei genitori non condizionano l’affidamento del figlio | Separazione e divorzio

Due genitori possono professare religioni diverse: questo normalmente non influenza la decisione sull’affidamento del figlio nell’ambito del giudizio di separazione o divorzio. È indubbio, però, che esistono alcune scelte nella vita di una persona che possono incidere in maniera significativa sulla sua esistenza e, a volte, su quella delle persone che la circondano, come i familiari. La decisione di abbracciare una nuova fede potrebbe essere uno di questi casi.

Pensiamo ad una coppia in procinto di separarsi in cui la moglie si è appena convertita ad una nuova professione religiosa. Questa confessione prevede, per i fedeli più osservanti, il rifiuto di sottoporsi a trasfusioni di sangue o a trapianti di organi, col rischio di poter mettere in pericolo, in caso di gravi emergenze, la loro stessa vita.

Il marito ha delle forti perplessità in merito al nuovo credo della moglie che ha apportato un radicale cambiamento nelle sue abitudini e frequentazioni e teme che questa rivoluzione nella vita personale della donna possa influenzare anche la vita dei loro bambini. Per questo preferirebbe che potessero restare a vivere con lui.

La religione è una scelta libera difesa dalla Costituzione

 

La fede religiosa è espressione dell’individualità di ciascuno, rappresenta una libera scelta e, in quanto tale, è difesa dalla Costituzione Italiana. Convertirsi a una nuova fede rappresenta una decisione legittima alla quale nessuno può opporsi.

Per questa ragione, in sede di separazione o divorzio, la religione non può essere di per sé fattore discriminante sulla base del quale il Giudice può decidere o meno a chi affidare o collocare i minori. Perché questo avvenga, è necessario che sia dimostrato che le pratiche religiose messe in atto dal genitore possano arrecare danni psicologici, fisici o formativi al minore.

 

Le possibilità del marito di ottenere la collocazione dei figli dipendono dal fatto che riesca a dimostrare, durante la causa, che la conversione della moglie costituisce concretamente un fattore di rischio per i bambini. Oppure che, in virtù della nuova fede della mamma, i minori siano costretti a cambiare radicalmente il loro stile di vita, le abitudini e i rapporti sociali, provocando loro smarrimento, turbamenti e difficoltà relazionali.

La sola conversione della madre e l’eventuale difficoltà di conciliare le convinzioni ideologiche tra marito e moglie non basterà per ottenere la collocazione dei figli.

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Genitori separati e divorziati: si al diritto di visita online ai figli con smartphone e computer

Per i genitori separati e divorziati che vivono distanti dai figli è possibile rispettare il diritto di visita con modalità alternative come quella online attraverso l’uso di smartphone e computer.

Quando è possibile esercitare il diritto di visita online

Pensiamo ad una madre, collocataria dei figli minori, affidati ad entrambi i genitori, che riceve dall’azienda presso cui lavora una promozione che le richiede il trasferimento in un’altra città. Nonostante i dubbi iniziali, la madre decide di cogliere al volo quest’opportunità, che si traduce anche in un aumento di stipendio.

I due genitori affrontano la vicenda e, dopo qualche smarrimento iniziale, anche il padre incoraggia la ex a trasferirsi. Al di là dell’incoraggiamento iniziale, il padre tuttavia è intimamente preoccupato perché teme di allontanarsi troppo dai figli e di perderli.

Per quanto dolorosa possa essere una scelta simile, specialmente per chi la subisce, essa non influisce sull’affidamento dei minori.

La distanza geografica tra i luoghi di residenza dei genitori, infatti, non impedisce di mantenere l’affidamento condiviso. D’altra parte, la lontananza non incide sulla capacità di un genitore di crescere, istruire ed educare il proprio figlio, né di stargli vicino o fargli sentire la propria figura di riferimento.

Si tratterà dunque di fare qualche sforzo in più, rivedendo modalità e tempi di permanenza del minore con l’altro genitore. Se la madre si trasferisce in una città distante, o semplicemente mal collegata, è evidente che i pomeriggi infrasettimanali, magari col pernotto, nei quali il padre andava a prendere a scuola i figli verrebbero compromessi. Essi potrebbero essere sostituiti, ad esempio, aumentando l’orario di inizio e fine dei weekend alternati di spettanza del papà (facendoli eventualmente partire dal venerdì invece che dal sabato), oppure ampliando le vacanze estive e invernali col padre.

I limiti da rispettare in caso di modifica della residenza

Se la residenza dei figli cambia in seguito al trasferimento del genitore collocatario, dovranno probabilmente essere riviste le modalità e i tempi di visita. In questa prospettiva, un aiuto può arrivare dalle nuove tecnologie.

È stata ammessa, a questo proposito, la possibilità d‘integrare le visite ai figli – rese più difficoltose e dispendiose dalla distanza – con “visite online utilizzando la webcam [sappiamo tutti quanto sia tecnologicamente facile: la videocamera è già integrata su tutti gli smartphone (Apple®, Android® ecc.) o si monta sul pc qualora il monitor già non l’abbia integrata). Basta poi un programma, generalmente già preinstallato sul cellulare (tipo FaceTime® su iPhone®), o da scaricare gratuitamente come Skype®].

Naturalmente quella online non sarà sufficiente come unica forma di contatto e comunicazione con i propri figli.

Se infatti la videochiamata rappresenta indubbiamente un mezzo più coinvolgente rispetto alla telefonata, perché consente maggiore interazione, grazie alla possibilità di cogliere anche gli aspetti non verbali della comunicazione, essa non può in alcun modo essere considerata sostitutiva della relazione fisica.

Per questo sarà opportuno mantenere la visita online solo come strumento integrativo, a supporto degli incontri veri e propri con i figli.

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